La nuova, importante sfida per il Paese: coniugare Intelligenza artificiale e Made in Italy

Nel libro ‘L’intelligenza non è artificiale’, pubblicato da Mondadori, Rita Cucchiara rimarca che l’AI rappresenta una grande sfida per le industrie italiane. E ancora più grande sarà la sfida di avere da qui al 2035 un’industria informatica avanzata, un’industria AI che possa competere con quella cinese e quella americana. Ma bisogna che lo Stato ci creda, e investa in maniera adeguata

Pubblicato il 13 Mag 2021

Artigiani in una miniatura del XIV secolo, epoca delle società delle arti e dei mestieri


Dove andrà l’Intelligenza artificiale (IA) da qui ai prossimi anni è difficile dirlo. Non c’è un traguardo unico, gli obiettivi sono tanti, le direzioni e i percorsi sono tanti. Ad esempio, l’Europa e l’Italia stanno dando la massima priorità a costruire un’IA sicura, robusta, capace di comprendere il contesto, di non essere imbrogliata (adversarial learning).

L’Intelligenza artificiale migliora giorno dopo giorno, con il lavoro di tutti. Di sicuro cambierà il lavoro di molti, bisognerà aggiornarsi, investire, progettare tantissimo, perché lo sviluppo dell’Artificial intelligence (AI) richiede molto denaro, adeguati investimenti pubblici e privati.

Dai suoi primi passi, è diventata grande, è una grande industria. Sia l’industria che produce AI, che realizza sistemi, servizi e librerie software, sia l’industria che la utilizza, anche riaddestrandola con i propri dati. E di sicuro questa evoluzione tecnologica pone il Paese di fronte a una nuova e importante sfida e opportunità: coniugare Intelligenza artificiale e Made in Italy. In pratica, cavalcare l’onda del cambiamento e dell’innovazione, per migliorare anche le risorse e le capacità della nostra Industria e Manifattura.

È dalle possibilità e potenzialità dell’Intelligenza artificiale che la produzione, creatività e creazione del Made in Italy possono trovare nuovo slancio e valore aggiunto. Come sottolinea anche Rita Cucchiara, nel suo libro ‘L’intelligenza non è artificiale’, pubblicato da Mondadori. L’esperta di AI rimarca: “sono assolutamente certa che l’Intelligenza artificiale rappresenti una grande sfida per le industrie italiane. Ancora più grande sarà quella di avere da qui al 2035 un’industria informatica avanzata, un’industria AI che possa competere con quella cinese e quella americana. Bisogna che lo Stato ci creda. e che ci credano anche i miei colleghi informatici”.

Il suo sviluppo impetuoso e strategico, del resto, è fuori discussione. Il documento dell’European Political Strategy Centre (Epsc) intitolato ‘The Age of AI’ stima che l’adozione globale dell’Intelligenza artificiale e dei sistemi cognitivi guiderà i ricavi dai 6 miliardi di euro del 2016 ai 38 miliardi del 2020, e che potrebbe contribuire a più di 12,8 trilioni, cioè migliaia di miliardi, di euro nell’economia globale del 2030, rappresentando un incremento del Pil mondiale del 14 per cento. Inoltre, potrà migliorare la produttività fino al 40 per cento nel 2035.

L’AI non è solo machine learning e deep learning, ma si compone di tante altre discipline e applicazioni, è molto di più rispetto al passato. E anche per questo presenta diversi ostacoli da superare e nodi da sciogliere. Per esempio, il problema della standardizzazione dell’AI, del testing, della riproducibilità e, in generale, dell’affidabilità “è una delle questioni cruciali dell’Intelligenza artificiale”, rileva l’autrice di ‘L’intelligenza non è artificiale’.

E fa notare: “la ricerca sta procedendo velocemente; abbiamo risultati strabilianti, ma spesso non sappiamo valutarli con precisione. Fortunatamente l’AI non è magia e, come per tutti i nostri sistemi, abbiamo modelli di valutazione: per esempio, abbiamo i crash test per le macchine, siano esse computer o veicoli. Dobbiamo solo applicarli in larga scala. Oggi è in atto un lavoro molto profondo, a partire dalle istituzioni internazionali come l’Institute of Electrical and Electronics Engineers e dagli enti europei, proprio per capire quanto ci possiamo fidare dell’AI”.

“Secondo un pregiudizio diffuso”, osserva Carl Benedikt Frey nel suo volume ‘La trappola della tecnologia’, edito in Italia da FrancoAngeli, “si ritiene che, perché un compito sia automatizzato, una macchina debba replicare esattamente le procedure seguite dal lavoratore che si intende sostituire. L’automazione si realizza innanzitutto attraverso la semplificazione. Anche la robotica avanzata non sarebbe in grado di riprodurre i movimenti e le procedure di un artigiano medievale”.

Automatizzare significa (anche) semplificare all’essenziale

La produzione è diventata automatizzabile solo perché i compiti un tempo non strutturati sono stati parcellizzati e semplificati nelle fabbriche. La catena di montaggio ha trasformato i compiti non routinari della bottega artigiana in compiti ripetitivi che l’avvento dei robot ha consentito di automatizzare. In modo analogo, “non abbiamo automatizzato il lavoro delle lavandaie inventando robot polivalenti capaci di tagliare gli alberi, trasportando acqua, legna o carbone dall’esterno alla stufa, eseguendo i movimenti richiesti dal bucato a mano”, fa notare Frey.

Il motivo principale per cui magazzini e depositi danno ancora lavoro a un ampio numeri di addetti e operatori è che la raccolta degli ordini resta in gran parte un’operazione manuale. Gli esseri umani hanno ancora un vantaggio comparato nei compiti percettivi complessi e nella manipolazione. Ma anche in questo ambito l’IA ha fatto notevoli passi avanti. E nonostante i robot non abbiano ancora capacità simili a quelle umane in termini di compiti percettivi e manipolativi, stanno raggiungendo una precisione che gli consente di svolgere attività di gestione delle merci in un magazzino strutturato, prelevandole da un pallet per deporle all’interno di scatole e scatoloni.

“Probabilmente, l’automazione dei magazzini è oggi allo stesso livello in cui si trovava l’automazione delle fabbriche negli anni Ottanta”, rileva l’autore di ‘La trappola della tecnologia’, e “indubbiamente, molte delle applicazioni di Intelligenza artificiale sono ancora dei prototipi imperfetti. Ma è importante ricordare che quasi tutte le tecnologie erano inizialmente imperfette”.

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Stefano Casini

Giornalista specializzato nei settori dell'Economia, delle imprese, delle tecnologie e dell'innovazione. Dopo il master all'IFG, l'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, in oltre 20 anni di attività, nell'ambito del giornalismo e della Comunicazione, ha lavorato per Panorama Economy, Il Mondo, Italia Oggi, TgCom24, Gruppo Mediolanum, Università Iulm. Attualmente collabora con Innovation Post, Corriere Innovazione, Libero, Giornale di Brescia, La Provincia di Como, casa editrice Tecniche Nuove. Contatti: stefano.stefanocasini@gmail.com

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