Le 12 riflessioni della Carta delle Idee della robotica collaborativa per promuovere un umanesimo tecnologico

La Carta delle Idee della robotica collaborativa è un documento scritto da 12 esperti provenienti dal mondo delle imprese, della formazione e della ricerca. Il documento si propone di dare chiavi di riflessione per guidare lo sviluppo futuro della robotica collaborativa, all’insegna di un numero sempre maggiore di applicazioni e di una tecnologia fruibili a tutti, anche ai non esperti.

Pubblicato il 15 Apr 2021

carta delle idee della robotica collaborativa

Fornire un quadro del contributo della robotica collaborativa al sistema industriale italiano e delineare gli scenari futuri e il ruolo che i cobot possono assumere nella ripartenza del sistema Paese: questi sono gli obiettivi della Carta delle Idee della robotica collaborativa presentata questa settimana da Universal Robots.

Il documento è la sintesi delle idee raccolte nel corso dell’evento gli Stati Generali della Robotica Collaborativa, dello scorso 26 novembre, a cui hanno partecipato 12 tra i maggiori esperti del mondo dell’industria, della ricerca, della formazione e del lavoro.

Una raccolta di idee per guidare la ripresa del sistema Paese, partendo da un settore (quello della robotica collaborativa) in cui l’Italia ricopre un posizione di eccellenza e riportando al centro dell’innovazione “lo strumento più evoluto e flessibile di cui siamo mai stati dotati: il nostro cervello”.

La robotica per il lavoro

Il primo capitolo della Carta, con il contributo di Domenico Appendino (presidente Siri e consigliere Ucimu – Sistemi per produrre)  ripercorre lo sviluppo della robotica nel manifatturiero, dall’introduzione dei primi robot e la divisione degli spazi negli impianti tra uomo e macchine alla svolta data con l’avvento della robotica collaborativa nel 2008.

I cobot hanno spinto, infatti, a una revisione di questo rapporto in un’ottica davvero collaborativa, dove la macchina non va a sostituire l’uomo, ma lavora con esso all’interno dello stesso spazio e in sicurezza, superando la frammentazione degli spazi all’interno degli impianti e dei compiti lungo la catena di produzione che si era verificata in un primo momento con l’introduzione della robotica nelle fabbriche.

L’introduzione dei cobot, sottolinea Appendino, ha infatti permesso di ricucire gli spazi di lavoro, di ridefinire compiti ibridando gesti umani e robotici, di qualificare l’azione dell’operatore sollevandolo da task ripetitivi, scarsamente ergonomici e pericolosi. Questa automazione si è progressivamente allargata a un numero maggiore di processi grazie a tutti quei strumenti (pinze, gripper, end effector, sistemi di visione e sensoristica) che sono man mano stati aggiunti ai cobot.

Questo, tuttavia, pone nuove sfide in ambito di sicurezza: se lo strumento connesso al robot è pericoloso, infatti, rischia di minare l’obiettivo di collaborazione, ed è per questo motivo che il risk assessment viene applicato sempre a tutta la cella e non solo al robot.

L’auspicio di Appendino è quello di giungere a un modello di collaborazione estesa, recepito già dalla fase progettuale. Così facendo si possono ridurre i costi relativi alla messa in sicurezza dell’applicazione a fronte di notevoli vantaggi operativi dati da una maggiore efficienza dell’automazione stessa.

Il ruolo del robot collaborativo che non sostituisce l’uomo, ma lo affianca, è al centro anche della seconda idea della Carta, ad opera del sindacalista Uilm Francesco Messano che prende spunto da due dei pregiudizi più diffusi (tra il pubblico) nei confronti di questa tecnologia: il rischio di incidenti connesso all’automazione e la visione del robot come “killer del lavoro dell’uomo”.

Due preconcetti che non trovano conferma nell’analisi effettuata dalla Uilm in base ai dati Istat nel periodo 2012/primo semestre 2019 che mostra non solo come gli incidenti sul lavoro e i decessi non siano aumentati dopo l’introduzione della robotica nell’industria, ma anche che il numero di lavoratori nel settore sia in realtà aumentato, passando da 24.764.800 del 2012 a 25.508.000 nel 2019.

Diversi studi hanno evidenziato la capacità dei cobot di aumentare i tassi di occupazione. “I robot generano maggiore produttività riducendo al contempo i costi di fabbricazione, minori costi di fabbricazione si traducono in minori costi d’acquisto e minori costi d’acquisto generano una maggiore quantità di prodotto venduto che genera, infine, tassi occupazionali più elevati”, spiega Messano.

Tuttavia, in questa equazione è presente un’incognita, sottolinea il sindacalista: la formazione. Nuove professionalità e nuove skill devono essere inserite in fabbrica per far sì che gli operatori del manifatturiero (e non solo) possano beneficiare di mansioni più sicure e gratificanti. Non solo per una maggiore efficienza e sicurezza nella produzione, ma anche per fornire ai lavoratori le competenze necessarie per essere competitivi in un mercato del lavoro che è in continuo cambiamento.

Per fare questo, propone Messano, si potrebbe puntare proprio sulla formazione inerente alla robotica collaborativa. “La formazione sulla robotica collaborativa offre diversi vantaggi intrinseci. I cobot sono una tecnologia di semplice utilizzo, che richiede un carico cognitivo estremamente ridotto e rappresenta quindi un’alternativa al tempo stesso performante (in termini di produttività e di logiche imprenditoriali) e abilitante per quanto attiene alle skill che trasmette agli operatori. Inoltre sono un’automazione sicura, capace di ridurre infortuni, decessi e malattie professionali”, scrive nel documento.

Le frontiere della ricerca

Intuitività: è questa la parola chiave che definirà gli sviluppi futuri della robotica, secondo Bruno Siciliano, docente di robotica presso l’Università di Napoli Federico II e coordinatore del gruppo di lavoro deputato allo sviluppo del Piano Nazionale della Ricerca per l’ambito robotica.

I progressi fatti finora nel settore hanno portato i robot collaborativi a uscire dalle fabbriche e a venire applicati in un numero sempre maggiore di ambiti: dall’utilizzo in ambienti ostili o poco strutturati, alle applicazioni in campo agroalimentare, a quelle nel settore medico-sanitario e nella mobilità urbana.

Campi applicativi che possono essere sempre più allargati grazie all’integrazione con altre tecnologie, in particolar modo con l’intelligenza artificiale. Per cogliere al meglio tutte queste possibilità di utilizzo, tuttavia, la tecnologia dovrà evolversi in un’ottica di una sempre maggiore intuitività, che la renda fruibile anche ai non esperti. “Soltanto quando queste tecnologie saranno fruibili come i device che abitualmente utilizziamo allora disporremo di una tecnologia implementabile su larga scala e con prezzi ridotti. Rivoluzionaria. Avremo un vero e proprio rinascimento tecnologico che metterà l’uomo al centro delle innovazioni. Un umanesimo tecnologico”, commenta.

Per aprire questa nuova fase occorre una programmazione che diventi sempre più agile, sottolinea Antonio Bicchi, docente di robotica presso Università di Pisa e Senior scientist presso IIT (Istituto Italiano di Tecnologia). Le numerose ore di prove pratiche necessarie per arrivare ad accumulare una base esperienziale sufficientemente vasta da permettere al robot di agire in autonomia in risposta a stimoli esterni rappresentano, sottolinea Bicchi, una limitazione rispetto ai campi di applicazione di questa tecnologia.

La risposta dovrà essere fornita dall’intelligenza artificiale, sottolinea il docente. Si tratta di una sfida “che chiama in causa produttori di robot, centri di ricerca, installatori, gestori di dati e che può rappresentare, davvero, la chiave di volta per una robotica di più semplice utilizzo per tutte le tipologie di imprese”, scrive nel documento. L’obiettivo è quello di sviluppare protocolli che permettano al robot di apprendere con pochi dati, rapidamente e a costi contenuti, così da allargarne le applicazioni e rendere i cobot fruibili a un numero sempre maggiore di imprese.

Questo processo continuo di semplificazione porterà i robot a diventare una commodity, uno strumento essenziale sempre più diffuso, come spiega Salvatore Basile, Operation Manager di Experis Italia. “Penso all’evoluzione della robotica collaborativa negli stessi termini con cui penso alla telefonia. Nessun millennial ha bisogno del libretto di istruzioni per usare uno smartphone. Questo è secondo me l’orizzonte di sviluppo ultimo dei cobot: divenire semplici e intuitivi, come un cellulare“, scrive nel suo intervento nella Carta.

L’importanza del trasferimento tecnologico

Oltre a puntare sulla ricerca, occorre anche rimuovere gli ostacoli all’utilizzo di queste tecnologie nelle imprese, scrive nella Carta Andrea Zacchettin, docente di robotica presso il Politecnico di Milano. Ostacoli che sono di diversa natura: dai costi economici degli investimenti, a una scarsa cultura robotica di base, a un sistema imprenditoriale caratterizzato da piccole e micro imprese che non sempre trovano nelle soluzioni di automazione le risposte di cui hanno bisogno.

“La soluzione – scrive il docente – è quella di definire più compiutamente il ruolo dei centri di trasferimento tecnologico per renderli veri trait d’union fra gli esiti della ricerca teorica e le applicazioni produttive”.

L’obiettivo è quello di ottimizzare il rapporto fra i diversi attori e far sì che le energie non vengano disperse, in un’ottica di miglioramento continuo. “Come fare? Si tratta di un problema non semplice. Non deve passare il messaggio che il trasferimento tecnologico si fa solo con grandi progetti e grandi centri. Servono politiche, come quelle che hanno portato alla nascita dei Competence Center, ma che dovrebbero promuovere altri centri dove le imprese di tutta Italia possono incontrarsi e far incontrare così domanda e offerta di innovazione”, commenta. 

Politiche necessarie in quanto se nella ricerca l’Italia occupa un posto di eccellenza, ricorda Zacchettin, è nell’ambito universitario che il trasferimento tecnologico non è sufficientemente valorizzato. “Forse perché il concetto di collaborazione non si sposa con la pratica della pubblicazione della ricerca universitaria. Tuttavia, occorre fare di più per promuovere questa osmosi”, commenta.

Un concetto ripreso anche dalla Ministra dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, che in un messaggio inviato in occasione dell’evento di presentazione della Carta commenta: “Il rapporto che il mondo della formazione superiore e della ricerca ha con il privato, con le imprese deve essere ripensato. Dai percorsi di orientamento a quelli di formazione, dalla presentazione di progetti al passaggio ‘dalla ricerca al business’, tutto deve diventare più osmotico, per un partenariato dove tutti vincono e nessuno perde”.

Ottimizzare il processo di trasferimento tecnologico permetterebbe anche di rimuovere gli ostacoli a una maggiore partecipazione femminile, sottolinea Lorna Vatta, Direttrice Esecutiva del centro di competenza ARTES 4.0.

Secondo la Direttrice, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza fornirà un ulteriore slancio nell’ottica di trasversalità dei settori coinvolti nel trasferimento tecnologico. “Lo possiamo intuire anche dall’apparente confusione legata alla nascita di molte entità che dovranno occuparsene, magari parlando di temi specifici del settore. Questo suggerisce una modalità di lavoro che implica la collaborazione tra ministeri diversi con competenze diverse e quindi la volontà di portare queste tecnologie anche fuori dal mondo industriale e renderle sempre più fruibili in altri contesti”, commenta.

La robotica al servizio dell’istruzione, anche dei più piccoli

Ora che è uscita dalle fabbriche, la robotica deve entrare anche nelle classi scolastiche: su questo si incentra il contributo di Alessandro Tassinari, Computational Designer e Digital Fabrication Expert per Future Education Modena (FEM).

L’idea che Tassinari e FEM portano all’itnerno della Carta è quella di sfruttare le potenzialità della robotica collaborativa per definire un metodo di insegnamento innovativo. “Gli strumenti che la scuola utilizza sono lo specchio temporale del periodo storico in cui si vive. Oggi viviamo a pieno titolo nell’era della robotica, è quindi perfettamente sensato che anche la scuola offra contenuti connessi a questi strumenti, per preparare le generazioni che si stanno formando sui banchi ad interagire senza timori e con efficacia con la tecnologia che le circonderà”.

Percorsi che permetterebbero ai più giovani di sviluppare le competenze necessarie per il futuro e che, se inseriti all’interno dell’offerta formativa dei più piccoli (a partire, ad esempio, dalle scuole medie) rimuoverebbero ulteriori barriere all’accesso a determinati percorsi formativi e lavorativi, come ad esempio le barriere di genere.

Per formulare questi percorsi, suggerisce FEM, bisognerà aggregare i diversi attori della filiera della formazione scolastica. Percorsi che dovranno essere strutturati e capaci, attraverso l’ausilio della robotica, di apportare benefici a tutte le aree del sapere e a tutte le materie.

A tutte queste considerazioni, la Carta accompagna testimonianze di aziende come Ferrero, Pirelli e Vitesco Technologies che dimostrano come, oltre alle tecnologie, è necessario un cambiamento culturale all’interno delle aziende per sviluppare appieno questo concetto di collaborazione uomo-robot. Una cultura incentrata anche su una maggiore sostenibilità della produzione e che permette, grazie all’innovazione e ai cobot, di adattare la produzione alle richieste del mercato.

Il documento

Carta delle Idee della Robotica Collaborativa 2021-compresso

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Michelle Crisantemi

Giornalista bilingue laureata presso la Kingston University di Londra. Da sempre appassionata di politica internazionale, ho vissuto, lavorato e studiato in Spagna, Regno Unito e Belgio, dove ho avuto diverse esperienze nella gestione di redazioni multimediali e nella correzione di contenuti per il Web. Nel 2018 ho lavorato come addetta stampa presso il Parlamento europeo, occupandomi di diritti umani e affari esteri. Rientrata in Italia nel 2019, ora scrivo prevalentemente di tecnologia e innovazione.

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