Un quadro di misure di sostegno alle imprese che sia pluriennale e di interpretazione certa, ma anche serietà, credibilità, semplificazione e, da parte delle imprese, un cambiamento nella cultura aziendale: è questa la “ricetta” che serve al Paese per tornare a crescere e superare la crisi della pandemia. A sostenerlo è Fiorenzo Bellelli, Amministratore Delegato di Warrant Hub, società del gruppo Tinexta che fornisce servizi di finanza agevolata e di consulenza aziendale a sostegno di progetti di sviluppo industriale.
Tra i tanti servizi offerti alle imprese, gli esperti di Warrant Hub aiutano gli imprenditori a sfruttare al meglio le opportunità offerte dalle agevolazioni, soprattutto (ma non solo) quelle offerte dal piano Transizione 4.0: il credito d’imposta in ricerca e sviluppo, quello per l’acquisto dei beni strumentali e quello per la formazione 4.0. Il servizio offerto non si limita a seguire le aziende sugli aspetti tecnici e burocratici di bandi e incentivi, ma punta a essere una consulenza strategica a tutto tondo, in grado di seguire gli imprenditori nella scelta degli strumenti più adatti a supportare il loro percorso di innovazione.
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Il valore del piano Industria 4.0
“Per il nostro Paese il piano Industria 4.0 ha rappresentato una svolta epocale: fino a quel momento non avevamo mai avuto una misura organica e con una visione temporale così ampia, che consentisse agli imprenditori di fare una pianificazione delle loro attività, soprattutto per quanto riguarda l’innovazione e la ricerca”, sottolinea Bellelli.
Il Piano, presentato il 21 settembre 2016 dall’allora Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, si proponeva di fornire per la prima volta un insieme di misure in grado di favorire gli investimenti per l’innovazione e la competitività, superando l’approccio precedente basato su strumenti singoli di agevolazione, come i diversi crediti di imposta e i benefici sull’Irap, che tuttavia non consentivano alle imprese di fare una pianificazione sistematica e strategica degli investimenti.
Nel 2017, con il passaggio da Industria 4.0 a Impresa 4.0, il campo delle misure si è via via ampliato, superando il focus iniziale specifico sulle industrie manifatturiere. L’ulteriore evoluzione del Piano Transizione 4.0 (dal 2020) è stata invece ispirata da una maggiore attenzione alla sostenibilità e da una volontà di allargare la platea dei beneficiari, anche alla luce delle considerazioni sull’efficacia delle misure adottate fino a quel momento.
“I numeri hanno confermato l’effetto leva sugli investimenti di tutti questi piani a sostegno della trasformazione digitale dell’impresa”, commenta Bellelli. Il valore complessivo degli investimenti in beni materiali e immateriali stimolati dagli incentivi nel 2017 è stato stimato in circa 13,3 miliardi di euro.
Certezza, velocità, stabilità e serietà per riconquistare la fiducia delle imprese
L’allargamento delle maglie del Piano negli anni ha però creato anche qualche problematica: tra rinnovi last minute, testi normativi non sempre chiarissimi e continui cambi di aliquote, è mancato infatti quell’elemento di stabilità e chiarezza che è fondamentale per elaborare una strategia di investimenti pluriennale.
A questo vanno aggiunte, in particolare per il credito d’imposta per le attività di ricerca e sviluppo, le interpretazioni sempre più restrittive fornite nel corso degli anni dall’Agenzia delle Entrate, che hanno via via ristretto il novero delle attività che potevano essere agevolate.
La misura – lo ricordiamo – era nata nel 2015 con lo scopo di promuovere gli investimenti delle imprese nelle attività di ricerca e sviluppo, necessarie per introdurre quelle innovazioni che permettono alle imprese di competere sui mercati internazionali, mentre le verifiche da parte dell’Agenzia delle Entrate sui progetti agevolati con il credito d’imposta hanno considerato non eleggibili spese relative ad attività che introducevano sì un’innovazione di processo o prodotto all’interno dell’impresa, ma che erano già presenti sul mercato, e che pertanto non rispondevano al requisito della “novità”.
Questa situazione ha creato una certa “disaffezione da parte delle imprese”, come la definisce Bellelli, che ha colpito soprattutto le piccole e medie imprese. “La mancanza di credibilità di questa norma ha penalizzato non le grandi imprese, ma le PMI di cui il nostro sistema industriale è in gran parte formato. Le PMI, infatti, difficilmente fanno delle ricerche rispetto allo stato dell’arte o rispetto al settore. Generalmente sono attività che sono ricerche cosiddette di inseguimento, con cui le aziende cercano di stare al passo con il mercato”, spiega Bellelli.
Che cosa serve quindi oggi agli imprenditori? Innanzitutto “provvedimenti di durata almeno triennale e normative che non subiscano variazioni significative nel corso del tempo”, sostiene Bellelli. Ma oltre alla stabilità, servono certezza del diritto, velocità e serietà da parte del decisore politico e degli organi di controllo: solo così sarà possibile ristabilire quel clima di fiducia senza il quale anche aliquote particolarmente generose, come quelle a disposizione delle aziende quest’anno, rischiano di risultare inefficaci.
Le opportunità del Next Generation EU e di Horizon Europe
Tutto questo è ancora più importante alla luce delle ingenti risorse che sono state movimentate, dallo Stato come dall’Ue, in risposta alla crisi provocata dalla pandemia. I fondi del PNRR possono rappresentare una grande opportunità per le imprese se utilizzate correttamente. E che, peraltro, se non impiegate saranno irrimediabilmente perse.
L’opportunità quindi è grande, anzi grandissima perché “mai nella storia abbiamo avuto a disposizione così tanti fondi”. Altrettanto grande però è la portata della sfida che questi fondi pongono al nostro sistema Paese, che deve dimostrare di essere in grado di fare i compiti anche nella fase dell’execution.
Sarà inoltre importante avvicinarsi ai diversi progetti europei incentrati su digitalizzazione e sostenibilità, come l’ecosistema Horizon Europe, che hanno ricevuto una spinta dalla pandemia di Covid-19.
Su questo punto, “il suggerimento che mi sentirei di dare al Governo è di considerare meglio quei progetti che per pochi punti o pochi centesimi non ottengono le risorse europee, ma che hanno ricevuto un riscontro favorevole da parte degli enti valutatori europei. Questi, anziché passare di nuovo dal Mise o da altri ministeri, potrebbero essere finanziati a livello nazionale senza il bisogno di riaprire nuovamente un’istruttoria e spendere ulteriori risorse. È un’occasione anche per sburocratizzare tanti processi e dare veramente slancio alla nostra economia”.
Investire sulle competenze
“Un imprenditore non deve fare investimenti perché ha un beneficio di carattere fiscale, ma deve fare un’analisi sul ritorno dell’investimento e valutare se può rendere la sua impresa più competitiva e se quell’investimento è strategico per l’evoluzione dell’azienda”, dice Bellelli.
Questa mancanza di visione strategica, che interessa soprattutto le PMI, continua ad alimentare il divario delle piccole e medie imprese con le grandi aziende. “Mentre nelle grandi imprese siamo già quasi a un’Industria 5.0, abbiamo ancora PMI che hanno impianti 4.0, macchinari 4.0, ma culturalmente sono ancora al 2.0 o al 3.0”.
Il punto è che, in tempi caratterizzati da una forte velocità e pervasività del cambiamento, l’innovazione non può fare a meno di un capitale umano dotato di quelle competenze necessarie per muoversi in un contesto lavorativo sempre più digitale. Competenze che, come ha sottolineato il rapporto DESI 2020 della Commissione Europea (che misura il livello di digitalizzazione dei Paesi membri in diverse aree), sono ancora poco diffuse tra gli Italiani.
In un contesto simile, sottolinea Bellelli, la formazione ha un ruolo cruciale. A tutti i livelli: per chi deve affacciarsi per la prima volta al mondo del lavoro, per chi ne fa già parte e per chi, suo malgrado, ne è uscito.
“All’interno delle aziende ci sono oggi persone che lavorano in condizioni diverse rispetto a due anni fa, con macchinari e strumenti per cui hanno bisogno di una formazione, che sia digitale o linguistica. C’è bisogno di non perdere personale che ci può ancora dare molto, ma che deve essere formato”. Un tema in cui occorre fare meglio, o diversamente, anche alla luce dei dati relativi all’utilizzo del credito d’imposta per la formazione 4.0, tra le agevolazioni meno utilizzate dalle imprese in quanto il rapporto costo-benefici non è ottimale. Una situazione che, come spiega Bellelli, vede nuovamente le PMI penalizzate rispetto alle grandi imprese perché con meno dipendenti da formare e meno competenze per gestire gli oneri legati a questo credito d’imposta.
Cruciale, in questo senso, è un cambiamento culturale nei lavoratori e nelle imprese, a partire dal concetto di cosa significa fare formazione (per le imprese) e nell’importanza che deve avere l’aggiornamento professionale per il lavoratore stesso.
Un buon esempio da seguire, sottolinea Bellelli, è l’accordo raggiunto nell’ambito del nuovo Contratto Collettivo Nazionale Per il Lavoro dei metalmeccanici e degli Installatori di Impianti firmato a febbraio, che ha confermato e perfezionato il diritto alla formazione continua: 24 ore di formazione triennali che diventano totalmente a carico dell’azienda (prima erano 16 a carico dell’azienda e 8 a carico del dipendente).
Una consulenza sempre più strategica
Per essere più competitive le imprese devono saper fare rete, dice Bellelli, a tutti i livelli: con le università, con le start-up (in ottica open innovation), ma anche con chi, come Warrant Hub, fa consulenza.
“Un’azienda come la nostra può svolgere un ruolo di supporto agli imprenditori nella pianificazione della loro strategia di investimenti. Vorrei che fossimo percepiti come soggetto che può dialogare apertamente con l’impresa, aiutarla a capire che cosa vuole e può fare e a individuare soluzioni che realizzino questa visione strategica”. Una consulenza a tutto tondo, insomma, “che non si limiti a certificare a posteriori se le attività svolte dall’imprenditore siano agevolabili o meno”, spiega Bellelli.
L’approccio, anche in questo caso, dipende molto dalla mentalità dell’azienda che richiede i servizi. “Quando lavoriamo con imprese medio-grandi, che si affidano a noi per pianificare investimenti, attività di ricerca e sviluppo, formazione e molto altro, lavorando con fondi italiani ed europei, riusciamo a offrire il massimo supporto sfruttando le diverse competenze che abbiamo creato all’interno di Warrant Hub”.
L’azienda è cresciuta nel corso degli anni, arrivando a fatturare 65 milioni di euro all’anno, specializzandosi anche su servizi per cui storicamente le imprese si rivolgevano ad altri professionisti, come nel caso degli incentivi legati all’ecobonus del 110%, ma anche di attività legate alla formazione e alla rivalutazione dei beni d’impresa.
Nel dicembre 2020 la società ha presentato Trix, una piattaforma in cloud che permette di sfruttare la metodologia Triz ( Teoria per la Soluzione dei Problemi Inventivi) e sofisticati algoritmi di machine learning e intelligenza artificiale per verificare, praticamente in tempo reale, il livello di innovazione tecnologica in ambito brevettuale di un’idea.
“Il brand in questi anni ha avuto la capacità e le competenze di qualificarsi in tutti questi servizi che ad oggi offriamo. Quest’anno abbiamo puntato su tre nuove attività (ecobonus, formazione e riqualificazione di beni d’impresa) e i risultati sono stati superiori alle nostre aspettative”, conclude Bellelli.