“Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza rappresenta un’assoluta priorità per il Governo e per il ministero dell’Economia e delle Finanze. Il progetto Next Generation EU (NGEU), disegnato dalla Commissione Europea per dare una risposta comune ai danni economici e sociali causati dalla pandemia da Covid-19, è un passaggio storico nel processo di integrazione europea. È un passo in avanti molto significativo nella costruzione di un bilancio europeo comune”. Così ha esordito il nuovo ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco in audizione davanti alle Commissioni V, VI e XIV del Senato e della Camera dei deputati.
L’audizione del neoministro, ex Ragioniere dello Stato voluto dal premier Mario Draghi alla guida del dicastero di via Venti Settembre, cade proprio nei giorni in cui sul MEF sono piovute critiche per aver affidato un incarico alla società di consulenza statunitense McKinsey in relazione al PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Già nel corso del week end il ministero aveva pubblicato una nota in cui si specificava che “la governance del PNRR è in capo al Ministero e alle Amministrazioni competenti” e che “alle società di servizi è stato richiesto solo supporto tecnico-operativo e uno studio di benchmark”, che nel caso di McKinsey avrebbe un valore di soli 25.000 euro. Il ministero ha promesso che “le informazioni relative al contratto saranno rese pubbliche, come avviene per tutti gli altri contratti del genere, nel rispetto della normativa sulla trasparenza”.
Tornando all’audizione del ministro Franco, vediamo i punti salienti del suo intervento.
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Date e numeri del PNRR: tempi stretti e 191,5 miliardi disponibili
Innanzitutto partiamo dalle tempistiche e dalle cifre in gioco.
Il piano dovrà essere ultimato dai Paesi membri e presentato in Europa entro il 30 aprile 2021. La redazione del Piano quindi “va portata a termine in tempi molto rapidi”, sottolinea Franco. Si tratta di una condizione essenziale per poter accedere sin da subito a una parte delle risorse, cioè ai “prefinanziamenti per un importo pari a circa il 13 per cento del valore complessivo del Piano”. Per l’Italia si tratta di una torta di circa 25 miliardi per i quali la scorsa legge di bilancio ha istituito un apposito fondo con il quale sono già state finanziate alcune misure, tra cui il piano Transizione 4.0.
Considerati i tempi tecnici per la valutazione e l’approvazione del piano da parte della Commissione e del Consiglio (8 settimane per la prima; 4 per il secondo), le risorse europee “saranno disponibili alla fine dell’estate”.
Ma quanto spetterà complessivamente all’Italia? Franco ha spiegato che, rispetto ai 196 miliardi di cui si è finora parlato (69 di trasferimenti e 127 di prestiti), in realtà la cifra disponibile sarà inferiore.
“Nella finalizzazione del Piano – dice Franco – occorrerà tener conto dei dati finanziari più aggiornati che tengono conto del fatto che il regolamento europeo emanato a febbraio prende a riferimento, per la determinazione della parte riguardante i prestiti, il reddito nazionale lordo del 2019. Questo porterà a una stima dell’entità delle risorse dell’ordine di 191,5 miliardi, quindi leggermente inferiore a quella indicata nel Piano a gennaio. Occorre inoltre precisare che queste cifre sono oggetto di un ulteriore margine di variabilità. Solo il 70 per cento dei trasferimenti è allocato tra paesi sulla base di dati già noti, la distribuzione del restante 30 per cento sarà definita nel giugno 2022, sulla base dell’andamento del PIL dei paesi dell’Unione nel biennio 2020-21″.
Di queste risorse – ricorda Franco – il 37% “dovrà sostenere la transizione verde e almeno il 20% dovrà sostenere la trasformazione digitale. Sono vincoli ragionevoli e importanti, cogenti nella definizione del Piano”.
Confermate le sei missioni
L’Italia, spiega Franco, “ha un cronico problema di crescita: da più di due decenni l’economia italiana cresce sistematicamente meno di quelle degli altri paesi sviluppati, frenata dalla stagnazione della produttività”. Per questo il Piano Next Generation EU “è una occasione molto importante” che deve servire per superare le disparità di ordine territoriale, generazionale e di genere.
Le linee guida della Commissione europea prevedono ciascun paese, nel suo Piano, definisca un pacchetto coerente di progetti, riforme e investimenti in sei settori d’intervento: transizione verde; trasformazione digitale; occupazione e crescita intelligente, sostenibile e inclusiva; coesione sociale e territoriale; salute e resilienza; politiche per la prossima generazione, comprese istruzione e competenze.
“Sono tutte priorità anche per il nostro Paese”, dice Franco. Che sottolinea: “L’orientamento del Governo è di confermare le sei missioni del programma enunciate nella bozza: innovazione, digitalizzazione, competitività e cultura; transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute”.
Ma “occorre rafforzare alcune parti del Piano esistente. Va predisposto un capitolo che contenga una puntuale descrizione della governance del Programma. Occorre poi tarare il valore dei nostri progetti sulle risorse effettivamente disponibili. Infine, alcuni progetti, ancora non pienamente delineati, vanno completati con precisione e concretezza”.
Usare (bene) le risorse disponibili
Il PNRR deve prevedere “contenuti ambiziosi da un lato, ma anche credibili e dettagliati” e definire “le specifiche modalità operative di ciascun intervento. Per l’Italia questo implica un cambio di passo nel modo di impiegare le risorse che anche in passato l’Unione europea ha messo a disposizione attraverso i Fondi Strutturali”.
Con riferimento all’ultimo ciclo di programmazione comunitario (2014-2020) Franco ha ricordato come i fondi UE abbiano consentito di attivare interventi per 73 miliardi di euro, ma che “a fine 2020 erano state impegnate risorse per soli circa 50 miliardi ed erano stati spesi soltanto 34 miliardi”. Nell’utilizzo dei fondi del PNRR “dobbiamo muovere su tempi molto più rapidi”.
Franco ha promesso che il Governo metterà a disposizione delle commissioni le bozze delle note tecniche sulle misure da finanziare nell’ambito del PNRR. Si tratta delle note tecniche analitiche relative all’attuale versione del Piano, frutto dell'”enorme lavoro già fatto”.
Tutti i ministri sono al lavoro sulle schede “per integrarle, ove del caso rinnovarle e svilupparle”
Progetti vecchi e nuovi
Una delle polemiche che maggiormente avevano tartassato la “vecchia” edizione del PNRR fatta dal Governo Conte 2 era l’eccessivo spazio dato ai progetti già in cantiere rispetto alle nuove iniziative.
Franco cita alcuni dei progetti già in cantiere che “costituiscono una solida base di partenza”, anche se “la fase attuativa di questi progetti andrà comunque rendicontata secondo i canoni del PNRR”. Il riferimento è a Transizione 4.0, alle connessioni veloci, agli investimenti nel trasporto pubblico locale, al programma di risanamento degli edifici scolastici, agli interventi di efficientamento energetico e di messa in sicurezza degli edifici, agli interventi contrasto al dissesto idrogeologico e di gestione delle risorse idriche, all’alta velocità, al Piano asili nido, alle scuole 4.0, ai programmi per la ricerca e alle relative infrastrutture, alla rigenerazione urbana e all’housing sociale, agli ospedali e all’ammodernamento del parco tecnologico e digitale ospedaliero.
Complessivamente nell’attuale bozza del Piano i progetti in essere ammontano a circa 65 miliardi di euro. “Nel corso dei lavori, nelle prossime settimane, dovremmo riflettere sul rapporto tra progetti a legislazione vigente e nuovi progetti e vedere se la distribuzione tra i due canali di intervento debba restare quella già indicata, o possa essere soggetta a cambiamenti”, dice Franco.
L’organizzazione e la governance del piano
Un altro punto critico è il sistema di monitoraggio e rendicontazione dell’avanzamento dei progetti contenuti nel Piano nella sua fase di esecuzione.
“A tal fine – spiega Franco – siamo impegnati su due fronti: uno di metodo, relativo all’organizzazione del lavoro, e uno di merito, relativo alla qualità e al contenuto dei progetti”.
La governance del PNRR è “incardinata presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che si coordina con le Amministrazioni di settore cui competono le scelte sui singoli progetti e il compito di indirizzo sulle proposte di riforme. È altresì prevista un’interlocuzione stretta con ulteriori attori, in particolare con le autonomie territoriali”, sottolinea Franco.
La responsabilità primaria sui progetti (investimenti e riforme) “rimane dei singoli Ministeri, che devono lavorare congiuntamente laddove la trasversalità degli obiettivi e degli interventi previsti lo richieda”.
Il Mef quindi “svolgerà un ruolo di coordinamento e darà pieno supporto a tutti i Ministeri nella stesura dei progetti, per assicurare che la definizione delle misure del Piano avvenga nel rispetto dei requisiti e delle linee guida europee e per assicurare che ci sia una effettiva realizzabilità dei progetti entro la scadenza tassativa del 2026”.
Insieme al Mef sono coinvolti, secondo una logica di competenza orizzontale, altri tre Ministeri. Il primo è il Ministero per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale per i progetti che riguardano la digitalizzazione; il secondo è il Ministero della transizione ecologica per quelli relativi alla politica energetica e – più in generale – per quelli con un impatto sull’ambiente e il clima; il terzo è il Ministero per il Sud e la coesione territoriale, per assicurare la coerenza complessiva del Piano con l’obiettivo di riduzione dei divari territoriali.
Per quanto riguarda la qualità “i progetti devono essere contraddistinti da tre caratteristiche: realizzabilità, accountability e monitorabilità”.
Sulla realizzabilità “va prestata grande attenzione alla fattibilità nell’arco dei sei anni del programma”. I paesi, come è noto, “dovranno impegnare i fondi ricevuti attraverso il Dispositivo entro il 2023; il 70 per cento delle risorse va impegnato già entro il 2022. Gli interventi dovranno essere conclusi entro il 2026. L’effettiva erogazione delle risorse sarà subordinata al conseguimento di obiettivi intermedi e finali; questi devono essere fin da subito definiti in modo chiaro, realistico e verificabile”.
Per questo “stiamo considerando la costituzione di una struttura centrale di monitoraggio del PNRR, presso il Mef, a presidio e supervisione dell’efficace attuazione del Piano”. Una struttura che, spiega Franco, “si occuperà del supporto alla gestione e monitoraggio degli interventi, della gestione dei flussi finanziari con l’Unione Europea, della rendicontazione degli avanzamenti del PNRR alla Commissione europea, del controllo della regolarità della spesa, della valutazione di risultati e impatti”.
Questo organismo centrale sarà affiancato da un’unità di audit, indipendente, responsabile delle verifiche sistemiche, a tutela degli interessi finanziari dell’UE e della sana gestione del progetto.