Quasi 10 milioni di lavoratori italiani sono sovraqualificati o sottoqualificati, una situazione frutto anche di ritardi enormi nella formazione scolastica e professionale, di azioni politiche non sufficienti a promuovere lo sviluppo di nuove competenze e dell’arretratezza del nostro Paese nell’adozione del lavoro da remoto. Sono questi i dati che emergono dall’ultimo studio di Boston Consulting Group (BCG), società di consulenza strategica.
Nello studio, dal titolo “Alleviating the Heavy Toll of the Global Skills Mismatch”, la società utilizza un indice composto da 59 indicatori (FSA Maturity Index) per analizzare lo skill gap (assenza di risorse dotate di competenze per svolgere un determinato lavoro) e lo skills mismatch (mancanza di competenze adeguate per lo svolgimento di un impiego a causa dell’evoluzione delle tecniche e dei mezzi di lavoro) in 75 Paesi, che costituiscono il 95% del Pil mondiale e il 79% della popolazione.
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Troppi ritardi in Italia su formazione, azioni di governo e smart working
Secondo l’FSA Maturity Index, l‘Italia si trova al 34esimo posto, dopo Cile e Malesia. La sua percentuale di skill mismatch ammonta al 38,2% con quasi 10 milioni di lavoratori male assortiti. In generale, il nostro Paese non brilla per nessuno dei cosiddetti “mattoni” di riferimento: l’azione del governo per sviluppare nuove competenze è ferma a un punteggio di 44,2 su 100, appena al di sotto della media mondiale di 45.
Migliore il dato relativo alla Lifelong Employability (52 punti su una media di 43) e la Skill Liquidity, che misura l’ampiezza, anche geografica, delle domande di lavoro: punteggio di 62 su medi di 50, dato che lo studio ipotizza essere imputabile a un’antica predisposizione al trasferimento, soprattutto da Sud a Nord.
Tra i settori di maggior ritardo secondo lo studio c’è proprio la formazione: l’insegnamento del pensiero critico ha un punteggio di 43 punti (più basso del 50% dei Paesi al vertice) e per quanto concerne la formazione e impiegabilità continua, il livello di partecipazione ai MOOC (massive open online courses) in Italia è due volte inferiore a quello dei Paesi leader.
Male anche il punteggio relativo allo smart working: prima della pandemia era fermo al 23% dei lavoratori, rispetto al 40% dei Paesi ai vertici del mercato.
Lo skill mismatch si traduce in una “tassa” del 10% sul Pil mondiale
La situazione non è molto più rosea negli altri Paesi presi in esame: secondo lo studio, nel mondo sono almeno 1,3 miliardi i lavoratori sottoqualificati o sovraqualificati, 1 su 3 nei Paesi OCSE.
In termini economici, lo skill mismatch si tradurrebbe in una “tassa” del 10% sul Pil mondiale e che potrebbe toccare l’11% entro il 2025, per un valore di 18 mila miliardi di dollari.
La relazione con innovazione, produttività e sviluppo sostenibile è inversa: più aumenta lo skill mismatch e peggiore diventa la prestazione di un Paese. La pandemia ne ha aggravato l’impatto, specie per l’introduzione forzata di forme di lavoro nuove, ma attese da tempo (come quello da remoto), accelerando il processo sempre più necessario di digitalizzazione e di automazione. Se il mondo lavorativo cambia a velocità vertiginosa, avverte lo studio, la formazione non potrà tenere il passo.
Per affrontare questo problema, BCG ha messo a punto il Future Skills Architect (FSA), strumento che consente di analizzare le performance di un Paese calcolandone l’indice di “maturità” (FSA Maturity Index) e fornendo un modello per la definizione degli specifici obiettivi nazionali, insieme a una libreria di 50 soluzioni pronte per l’uso, policy di governo o tecniche di mercato da adottare.
FSA individua le cause sottostanti allo skills mismatch, esamina la situazione corrente, aiuta a fare confronti e a individuare soluzioni intelligenti, facendo riferimento a casi di successo, che spesso sono collegati alle innovazioni obbligate dal Covid.
Tra queste, lo studio cita Come Hatch Exchange, una piattaforma australiana nata per aiutare gli studenti universitari nella ricerca di lavori part-time e diventata, con la pandemia, rete di collegamento tra aziende (più di 70) e disoccupati e Darsak, uno strumento creato dal governo giordano per la didattica a distanza, ma che si è evoluto rivolgendosi anche alla formazione dei lavoratori.
Il testo integrale dello studio può essere consultato sul blog del Boston Consulting Group.