Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) prende forma e l’intenzione del Governo è di mettere sul piatto ben 48,7 miliardi di euro per ridurre il gap che l’Italia sconta rispetto agli altri Paesi europei, spingere la trasformazione digitale, creare un’infrastruttura di rete moderna ed efficiente. Risorse, queste, che saranno incanalate in tredici iniziative dedicate alla digitalizzazione dell’Italia: dal rinnovo del piano Transizione 4.0 all’innovazione della PA, fino al rilancio del settore turistico.
Dalla bozza del piano che oggi è stata al centro dell’accesa discussione in Consiglio dei Ministri emerge che la “missione” dedicata a Digitalizzazione, innovazione e competitività vuole essere un trampolino per accelerare la trasformazione digitale di imprese private e strutture dello Stato, al fine di ammodernare il Paese e sollevarlo dalla condizione di “arretratezza” digitale in cui verte – basti pensare al posizionamento dell’Italia secondo l’indice Desi 2020: venticinquesimo posto su ventotto. Si prevede dunque l’utilizzo dei fondi europei anche per il rilancio economico-sociale attraverso la spinta all’innovazione.
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I fondi europei a disposizione per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è lo strumento che il Governo italiano dovrà presentare alla Commissione Europea per dettagliare la destinazione dei fondi comunitari previsti come aiuto per la risalita dalla crisi imposta dall’emergenza sanitaria causata dal coronavirus.
Come riportato nella bozza del PNRR in discussione questa settimana, per l’Italia i fondi previsti tra Quadro finanziario pluriennale e Next Generation UE ammontano a circa 309 miliardi di euro per il periodo 2021-2029. Considerando il Dispositivo Europeo di Ripresa e Resilienza (RRF, Recovery & Resilience Fund), finanziatore del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano, tra 2021 e 2026 si potrà accedere a 65,4 miliardi di euro di sovvenzioni e 127,6 miliardi di euro di prestiti, cioè complessivamente 193 miliardi.
Circa il 70% delle sovvenzioni del RRF verrebbe impegnato entro la fine del 2022 e speso entro la fine del 2023. Il piano prevede inoltre che il restante 30% delle sovvenzioni da ricevere dal RRF sarà speso tra il 2023 e il 2025. I prestiti totali del RRF aumenteranno nel corso del tempo, in linea con l’obiettivo di mantenere un livello elevato di investimenti e altre spese relative al PNNR in confronto all’andamento tendenziale.
Digitalizzazione e innovazione nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
Il PNRR prevede sei missioni cui destinare i fondi, tematiche strategiche individuate come prioritarie per il rilancio dell’economia:
- Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura
- Rivoluzione verde e transizione ecologica
- Infrastrutture per una mobilità sostenibile
- Istruzione e ricerca
- Parità di genere, coesione sociale e territoriale
- Salute
Al primo pilastro, cioè quello dedicato a digitale e innovazione, sono destinati secondo la bozza del Piano 48,7 miliardi di euro.
A sua volta, la missione si dirama su due assi:
- digitalizzazione del settore pubblico
- integrazione delle nuove tecnologie in ambito privato.
In concreto, sono previste tre aree di intervento, citando testualmente dalla bozza:
- Digitalizzazione, innovazione e sicurezza informatica nella PA (10,1 miliardi)
- Innovazione, competitività, digitalizzazione 4.0 e internazionalizzazione (35,5 miliardi)
- Cultura e Turismo (3,1 miliardi)
I tre percorsi di concretizzazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza saranno attuati attraverso riforme strategiche che puntano a semplificare la relazione tra pubblica amministrazione e cittadini, favorendo l’approccio ai servizi pubblici e creando i presupposti idonei per gli investimenti, in particolare in ambito infrastrutturale. Le riforme si baseranno su linee guida che includono pubblica amministrazione, Fisco e Imprese.
Le misure per l’innovazione nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
Per la seconda area di intervento, cioè al tema “Innovazione, competitività, digitalizzazione 4.0 e internazionalizzazione”, sono previsti dunque finanziamenti per 35,5 miliardi di euro.
L’obiettivo, come spiegato nel piano, è quello di “favorire l’accelerazione della transizione digitale delle imprese, soprattutto delle PMI”. Si vuole dunque accelerare il percorso di trasformazione digitale delle realtà aziendali medie piccole, che costituiscono ricordiamo la maggior parte del tessuto imprenditoriale italiano, attraverso una rete “di connessione digitale veloce e ultraveloce per diffondere innovazione e nuovi servizi”.
Il progetto fibra
La connessione infatti è una tecnologia abilitante per usufruire delle innovazioni 4.0, come gli strumenti IoT: è dunque prioritario avere reti a banda larga ultra-veloce, considerate “una General Purpose Technology, in grado di innescare guadagni di produttività e di crescita su larga scala in tutti i settori dell’economia”.
Buoni propositi, la cui attuazione tuttavia rischia di essere frenata dal gap digitale che contraddistingue l’Italia rispetto agli altri Paesi europei. Anche la bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza infatti cita l’indice DESI e la sua cruda fotografia della realtà, in cui l’Italia “si posiziona al diciassettesimo posto sulla connettività e sull’integrazione delle tecnologie digitali al ventiduesimo posto su ventotto Paesi UE. Il tasso di copertura delle famiglie italiane con reti ultra-veloci è pari al 24%, rispetto a una media UE28 del 60%, mentre l’attivazione di abbonamenti è pari al 9%, rispetto a una media UE del 20%”.
Considerando gli sforzi governativi a partire dal 2015 per la diffusione della banda, “il PNRR intende promuovere un progetto fibra che eviti il rischio di duplicazioni nella messa a terra della rete – che è parte delle infrastrutture strategiche nazionali – garantendo al contempo la piena concorrenza nella fornitura dei servizi anche attraverso opportune forme di separazione delle attività all’ingrosso di gestione della rete da quelle dei servizi al dettaglio”.
Transizione 4.0
Le misure previste nella prima missione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non trascurano come area di intervento il Piano Transizione 4.0 per cui sono stati stanziati 23,8 miliardi di euro dei 35,5 complessivamente a disposizione di questo asse di intervento.
Sono previsti, si legge nella bozza, due interventi che sostituiscono la precedente normativa:
- “Credito di imposta 2021/2026 per investimenti in beni strumentali (subentra anche a ammortamento e superammortamento)”. La bozza riporta proprio il periodo 2021/2026, considerando che il piano è previsto fino al 2023 si ipotizza il 2026 sia indicato come anno fiscale ultimo di influenza dei benefici.
- “Aggiornamento dei macchinari per i quali le imprese possono vantare un beneficio fiscale (Nuova Sabatini)”.
Quanto alla valutazione dell’impatto macroeconomico delle misure di Transizione 4.0, il testo sottolinea come sia “complessa in quanto racchiude diverse azioni che possono attivare canali differenti e complementari”.
Transizione 4.0, si legge, si sviluppa lungo 4 linee.
- Una prima area di misure è volta a stimolare l’afflusso dei capitali e le fonti alternative al credito verso le piccole e le medie imprese e stimolarne la crescita (c.d. “Finanza per la Crescita”). La simulazione di questa linea è stata eseguita ipotizzando una riduzione del premio di rischio sugli investimenti dell’1 percento un punto percentuale.
- Una seconda area riguarda gli incentivi a favore di investimenti innovativi (iperammortamento, super-ammortamento, software, credito di imposta per attività di ricerca, etc.). Essendo la misura onerosa, si è innestata nel modello ipotizzando che risorse del RRF, pari all’1 per cento del PIL all’anno nel primo biennio, venisse destinata a crediti di imposta alle imprese per investimenti.
- A fronte di tali interventi si è anche ipotizzata una variazione della produttività totale dei fattori (TFP), come effetto dei maggiori investimenti in capitale fisico e immateriale (R&D) pari allo 0,15 percento in cinque anni.
- La quarta componente fa riferimento a “Competenze 4.0” ed è formalizzata in QUEST III ipotizzando uno shift dei lavoratori low skilled verso lavoratori medium skilled pari a 2 punti percentuali in 20 anni accompagnato da un aumento di spesa pubblica per formazione pari allo 0,1 percento del PIL.
Gli effetti macroeconomici del complesso di queste misure darebbero luogo ad un aumento del PIL dopo cinque anni pari allo 0,5% per raggiungere l’1,3% a regime. La principale spinta deriverebbe dall’incremento medio annuo degli investimenti pari all’1,1% da cui si genera un aumento della dotazione strutturale dello stock di capitale con effetti espansivi anche negli anni successivi.
Gli altri interventi
Oltre al Piano Transizione 4.0, sono previsti interventi per:
- Potenziare il regime opzionale di tassazione Patent Box per i redditi d’impresa “derivanti dall’utilizzo di software protetti da copyright, di brevetti industriali, di disegni e modelli, nonché di processi, formule e informazioni giuridicamente tutelabili, relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico”.
- Misure per l’agricoltura digitale, “basata su tecnologie cloud e (near) real time, con sistemi blockchain e servizi decentralizzati input/output, che consentiranno i colloqui tra amministrazioni e tra queste e le aziende agricole di tutto il territorio nazionale. L’iniziativa consentirà di rafforzare la capacità di analisi, valorizzando il patrimonio informativo, con lo sviluppo e l’adozione di modelli per la valutazione delle politiche agricole”.
- Editoria 5.0, per cui “si prevede un piano per l’editoria che abbia come obiettivo la modernizzazione del settore e incentivi specifici per la transizione digitale delle imprese del settore. Nuove professionalità rilevanti per la trasformazione tecnologica e digitale delle imprese”.
- Banda larga, 5G e monitoraggio satellitare per cui si punta a raggiungere i propositi della Gigabit society.
- Innovazione e tecnologia (microprocessori)
- L’internazionalizzazione delle imprese, mediante il rifinanziamento e rimodulazione del Fondo 394/81 gestito da SIMEST – sostegno all’internazionalizzazione delle imprese; l’internazionalizzazione e la digitalizzazione degli Enti Fiera; il rafforzamento del Patto per l’export.