Tra uomo e robot c’è ancora troppa contrapposizione (ma i cobot potrebbero dare una mano a superarla)

Superare le avversità del rapporto uomo-macchina significa pensare a cobot e robot con un approccio diverso: riflessioni, esperienze e scenari sono stati discussi agli Stati generali della robotica organizzati da Universal Robots

Pubblicato il 26 Nov 2020

Un robot collaborativo al lavoro nel settore del bianco


Sono un elemento indispensabile per rendere competitive le imprese sul piano internazionale, presenti in sempre più settori produttivi. Gli affidiamo anche la buona riuscita delle nostre ricette culinarie, in casa nostra. Eppure, nonostante si stia acquisendo più familiarità nei loro confronti, verso i robot c’è ancora tanta, troppa diffidenza. Succede soprattutto quando si pensa al loro rapporto con l’uomo o, per meglio dire, con il lavoro dell’uomo.

Detta in maniera più diretta, dopo decenni di automazione nelle industrie non si riesce ancora a superare la visione dicotomica che vede contrapposte macchina e persona. Serve un cambiamento culturale per vedere la situazione da una prospettiva diversa, considerando l’evoluzione dei processi produttivi grazie alla tecnologia come un fenomeno sociale. Non da combattere e nemmeno da accettare passivamente, perché ogni relazione positiva si basa sull’equilibrio.

La paura del robot che porta via il lavoro

Nel mondo oggi sono impiegati 3 milioni di robot, di cui il 62% in Asia, e l’Italia, secondo i dati dell’IFR e quelli di Siri, l’associazione italiana di automazione e robotica, è il sesto Paese al mondo per consumo di robot industriali.

La diffusione, in crescita, è inequivocabile, ma restano le paure. La chiave per cambiare la visione secondo cui il robot è soltanto un nemico arrivato a sottrarre lavoro umano secondo il presidente dell’associazione Domenico Appendino è considerarli “utensili”, ponendo sempre “l’uomo al centro” e auspicando a un nuovo umanesimo tecnologico come ideale etico da raggiungere.

La realtà non è altrettanto utopistica. In occasione degli “Stati generali della robotica”, un evento organizzato da Universal Robots come momento di riflessione su quel che sta accadendo in particolare relativamente ai cobot, Francesco Messano, sindacalista della UILM – Artigianato e metalmeccanica, ha raccontato per esempio di esser stato oggetto di critiche per aver provato un esoscheletro a una fiera: “I nostri lavoratori nelle aziende hanno perplessità su Industria 4.0 (ora trasformato in Transizione 4.0, ndr). Questo perché l’industria 3.0 nei primi anni di vita ha inciso sull’occupazione anche se poi nel tempo la situazione è migliorata”.

Nell’epoca del 4.0, il cobot spaventa particolarmente. Per questo la loro introduzione “deve avere un impatto morbido per essere sostenuto dall’ambiente”. La chiave per Messano è necessariamente “informare e formare nel modo giusto” e capire che i cobot “sono strumenti creati per facilitare” le attività dell’uomo.

Indispensabile quindi intervenire per formare in modo adeguato i lavoratori, per qualificarli: “L’evoluzione va avanti, bisogna sempre sostenerla ma senza mai scordare che l’uomo è il tassello più importante”.

Tra il dire e il fare però ci sono di mezzo le decisioni aziendali: “Nei nostri contratti nazionali del lavoro sono contemplate le ore di formazione ma queste spesso sono disperse. Invece bisogna puntare su ciò, inserendo proprio nei contratti la formazione specifica sui cobot. Si tratta di un arricchimento per l’azienda e il lavoratore”.

Come vengono usati i cobot

In Pirelli l’impiego di un cobot è pensato per mettere “sicurezza, ergonomia e qualità prima di tutto”, come spiega Simone Pala. “I cobot ci offrono ottimi spunti per risolvere problematiche con sistemi il più possibile plug and play rispetto al sistema esistente”. Tuttavia ci sono problemi legati al payload: “Nel nostro caso ci obbliga a usare i cobot per attività ausiliarie e ripetitive per cui si ha esigenza di esprimere alti livelli di qualità, come l’applicazione di etichette”. L’impatto in azienda è stato soft: “Introdurre i cobot è stato semplice dal punto di vista dell’installazione e dell’interfaccia con le altre macchine”, sono stati predisposti corsi di formazione per chi avrebbe dovuto utilizzarli.

Fabio Federici di Ferrero ha spiegato che la necessità aziendale era quella di “servire meglio il mercato: introdotto i cobot in ottica di automazione flessibile. Abbiamo bisogno di integrare il lavoro dell’uomo perché abbiamo necessità di ottimizzare la risorsa umana, sfruttare al meglio la capacità delle persone. Importanti anche gli aspetti di sicurezza: abbiamo la necessità di creare modalità di integrazione che limitino al massimo il contatto tra uomo macchina e sfruttando ciò abbiamo iniziato a ridisegnare i posti di lavoro”. Il risultato è stato ottenere “un forte coinvolgimento delle persone e il loro empowerment”.

Un esempio riguarda quando Ferrero ha iniziato “nel 2007 a usare i cobot in una fabbrica dove avevamo necessità di aumentare la capacità produttiva mantenendo inalterato il livello occupazionale. In seguito sono stati applicati a intere fasi del processo”. L’introduzione della tecnologia ha portato infatti a ridisegnare i processi. Una situazione che porta a pensare a una convivenza serena tra persone e macchine: “Stiamo implenentando in USA linee che durante il periodo di bassa produttività vengono rimosse e lasciano spazio libero. Questo ci ha permesso di usare le stesse persone su più linee e di ridurre costi relativi a capannoni”.

L’unione tra i due mondi: i robot compagni di vita

Il cambiamento culturale che porti a una visione più inclusiva del rapporto uomo-macchina dunque è possibile, considerando la quotidianità delle attività aziendali. L’emergenza sanitaria ha messo in luce nuovi spunti di riflessione. Ne è convinto il professor Bruno Siciliano dell’Università Federico II di Napoli, che sottolinea come si stia “assistendo a una riconversione della produzione: sono nate nuove esigenze di sicurezza. L’occasione dell’emergenza offre lo spunto per l’accelerazione tecnologica e investimenti strategici dettati dalla capacità delle aziende di essere resilienti”.

La robotica è uno dei ventisei ambiti strategici contemplati nel Piano nazionale della ricerca: “Il cobot è un elemento di un sistema cyber fisico in cui c’è unione tra mondo digitale e reale”. Si sprecano le considerazioni in ambito etico, sociologico e giuridico dell’implementazione di queste tecnologie: “Stiamo assistendo a un’antropizzazione dei robot, all’utilizzo in ambienti coabitati dall’uomo a tutti i livelli. A mio avviso la robotica sarà una grossa opportunità verso un nuovo umanesimo tecnologico e digitale: avremo dei compagni di vita che la renderanno tutto più semplice e agevole”.

Il che ovviamente non riguarda solo i cobot, ma anche i robot “tradizionali”, che troveranno sempre maggiore impiego, dandoci anche la possibilità per Siciliano di “esprimere la nostra creatività. Stiamo sviluppando man mano una coscienza maggiore che dovremo portare in ambito didattico, gli ingegneri non possono ignorare questi aspetti”.

Lo scenario

A proposito di creatività, è esemplare come i robot stiano ampliando la loro presenza dal classico contesto delle fabbriche manifatturiere a settori prima mai approcciati, come l’edilizia e l’architettura.

I robot – spiega Pierpaolo Ruttico di Indexlab – Politecnico di Milano – potrebbero rivoluzionare il tradizionale ponteggio per sistemare le facciate: “Algoritmi e robot permettono di fare un nuovo genere di architettura”.

E secondo Lorna Vatta, direttrice esecutiva di Artes 4.0, il competence center toscano che ha anche una forte focalizzazione sulla robotica, ha sottolineato come sia importante “rapportare più nel quotidiano la robotica. Bisogna agevolare maggiormente la diffusione di queste tecnologie per sperimentare ad ampio raggio, per esempio in agricoltura”.

Tuttavia al momento la strada sembra ancora lunga, anche perché micro, piccole e medie imprese hanno ancora difficoltà ad approcciare la robotica, collaborativa e non. Adottando una visuale più ampia, i problemi sono di contesto, soprattutto del “generale stato di competenza digitale dell’Italia che ci vede al venticinquesimo posto su ventotto stati in Europa e questo non depone a nostro favore – ha spiegato Salvatore Basile di Experis citando l’indice Desi -. Solo il 42% degli italiani tra i 14 e i 70 anni ha competenze di base contro il 58% dell’Unione Europea”.

Verso una carta delle idee

Le riflessioni emerse nel corso della giornata di oggi diventeranno i pilastri di un “documento programmatico in cui con il contributo di tutti gli ospiti andremo a delineare dei percorsi, connessi alla robotica collaborativa, utili allo sviluppo del Paese”, spiega Alessio Cocchi di Universal Robots.

Il documento si chiamerà Carta della Idee della Robotica Collaborativa e sarà messo a disposizione di istituzioni, università, associazioni, imprese e attori dell’ecosistema dell’innovazione robotica. Un manifesto per capire che cosa può fare la robotica collaborativa e contribuire a superare quella zavorra di natura culturale che ancora ci portiamo dietro.

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Nicoletta Pisanu

Giornalista, collabora da anni con testate nazionali e locali. Laureata in Linguaggi dei Media e in Scienze sociali applicate all'Università Cattolica di Milano, è specializzata in cronaca.

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