Il robot umanoide dell’IIT si prepara a volare: nasce IronCub

L’Istituto Italiano di Tecnologia è al lavoro su IronCub, un robot umanoide in grado di volare e di essere teleguidato e “vissuto” da un operatore grazie a una tuta sensorizzata che percepisce le stesse cose che sente il robot. Lo scopo è avere un robot in grado di operare in aree critiche, sopratutto in zone dove sono avvenute catastrofi. Entro tre anni il primo volo. L’intervista a Daniele Pucci.

Pubblicato il 24 Feb 2020

Daniele Pucci dell'IIT


Un robot umanoide, dotato di turbine che lo rendono in grado di volare, che può essere teleguidato a distanza, grazie a una tuta sensorizzata che percepisce le stesse cose che “sente” il robot, per riuscire ad operare in aree critiche, sopratutto in zone dove sono avvenute catastrofi. È questo, in sintesi, il futuro che si sta preparando nei laboratori dell’IIT, l’istituto Italiano di Tecnologia di Genova che, da una quindicina di anni, lavora al progetto iCub, diventato la piattaforma di ricerca sulla robotica umanoide più diffusa al mondo, con una community di ricercatori distribuiti in più di 40 laboratori tra Europa, Usa, Giappone e Sud Corea.

iCub mette le ali e diventa IronCub

Se oggi iCub è in già grado di mantenere l’equilibrio quando spinto, di rialzarsi quando cade e di camminare, teleoperato, con sicurezza, i ricercatori del Dynamic Interaction Control dell’Istituto Italiano di Tecnologia hanno fatto un passo ulteriore, progettando IronCub, un robot che può volare.

A guidare il team di ricerca Daniele Pucci, considerato dalla rivista MIT Technology Review tra i 35 innovatori under 35 più significativi d’Europa del 2019, e tra i pionieri della Robotica Umanoide Aerea. Si tratta di un nuovo ramo della robotica che si colloca al confine tra diverse discipline e che doterà gli umanoidi della capacità di volare, una proprietà che potrà rivelarsi fondamentale in futuro per le operazioni di soccorso a seguito per esempio di calamità naturali come terremoti e alluvioni o in scenari catastrofici come incidenti nucleari, oggi inaccessibili ai soccorritori e ai robot già esistenti.

“L’idea di IronCub nasce da esigenze abbastanza specifiche”, spiega Pucci. “Abbiamo immaginato uno scenario post-disastro, come potrebbe essere uno tsunami o un terremoto: una situazione che si presenta con palazzi distrutti, incendi o inondazioni con ostacoli che si interpongono tra questi edifici e ci sono sopravvissuti da cercare. Per fare questo in sicurezza c’è bisogno di un robot che sia, innanzitutto, capace di arrivare sul posto e poi di camminare e muoversi all’interno di un ambiente antropomorfo. Un ambiente dove, magari, si devono aprire porte, oppure chiudere valvole per evitare, ad esempio, fuoriuscite di gas. E poi, una volta finite le ispezioni di un edificio, deve essere in grado di continuare il suo lavoro in altre strutture, scavalcando fiamme provocate dagli incendi, o inondazioni. L’idea di un robot umanoide volante, quindi, si adatta molto bene a questi casi. Per noi che lavoriamo con iCub, che è un progetto nato ormai una quindicina di anni fa, il passo più breve era quello di prendere il robot umanoide e dotarlo di una tecnologia in grado di farlo volare”.

La telesistenza, per far collaborare a distanza uomo e robot

Dotare il robot della possibilità di volare, però, non basta a creare uno strumento in gradi di rispondere a queste esigenze e, per questo i laboratori si sono focalizzati, con particolare interesse, alla collaborazione con l’essere umano, alla telesistenza, cioè la possibilità di teleoperare un robot da lontano compiendo gesti che il robot riproduce all’istante e al controllo della locomozione e del volo. “La telesistenza ha un ruolo nell’operare e telecomandare il robot a distanza – sottolinea Pucci – visto che l’uomo non può essere fisicamente presente sul posto e i robot non hanno, e non lo avranno ancora per un po’ di tempo, un grado di autonomia completo. Per questo abbiamo bisogno di radiocomandarli e di farlo in un modo molto sofisticato. Possiamo, quindi, immaginare l’operatore che da un punto remoto può muovere un robot posizionato in un altro. Grazie alla telesistenza, quindi, l’essere umano può percepire tutto ciò che percepisce il robot. Se è in un ambiente caldo l’essere umano deve percepire il caldo, se urta qualcosa la sua mano deve sentirsi toccare. La telesistenza è una ricerca per abilitare l’essere umano a telecomandare questi robot a distanza”.

Una tuta sensorizzata per coordinare i movimenti a distanza

Qui entra in campo un altro progetto portato avanti dal team, ovvero la “tuta AnDy“, sensorizzata e munita di algoritmi e tecnologie che la rendono capace di registrare e misurare la postura del corpo umano, anche durante movimenti rapidi e dinamici, e gli sforzi muscolo-scheletrici che si possono compiere nelle attività lavorative.

“Il problema era quello di far percepire l’essere umano e trasportarlo sul corpo dell’umanoide. Bisogna capire come si muove l’uomo e, per capirlo, abbiamo bisogno di sensori che vengono attaccati al corpo e che percepiscono il movimento del ginocchio quello del braccio che poi viene replicato sul robot. Proprio in questo contesto, abbiamo realizzato una tuta sensorizzata, che rientra nell’ambito del progetto europeo AnDy, per fare si che si potesse misurare sia le posizioni degli arti dell’essere umano che gli sforzi articolari. Ad esempio, grazie a questa tuta e ai nostri algoritmi possiamo capire quanto sforzo sta facendo un ginocchio quando è piegato durante la camminata”.

Uno strumento nuovo, che potrà servire anche per altre applicazioni. Il prototipo è stato, infatti, testato durante sessioni di allenamento sportivo, come gli esercizi tipici di una preparazione calcistica, e all’interno di un magazzino mentre vengono spostati dei carichi. “Tra i campi di applicazione c’è quello sportivo”, prosegue Pucci: “Si può immaginare di dotare gli atleti di queste tute. Adesso lo si sta già facendo, ma in modo meno accurato. Noi stiamo puntando sul numero dei sensori perché più ce ne sono e più i risultati sono accurati. Un altro campo importante è la prevenzione e la valutazione del rischio in attività lavorative. Possiamo immaginare lavoratori che devono movimentare carichi e che, grazie a questa tuta, ci permettono di capire quanto sforzo il lavoratore fa quotidianamente e, a quel punto, anticipare le problematiche e magari correggere la sua postura qualora si verifichi un problema. In questi termini che stiamo lavorando con INAIL per un’elaborazione del rischio biomeccanico associato alle attività lavorative”.

IronCub, dallo studio di fattibilità alla sperimentazione, pronto nei prossimi due anni

Il progetto per IronCub, per adesso, ha già superato alcune delle fasi più cruciali e si trova in una fase abbastanza avanzata del progetto. “Noi siamo stati i primi a concepire la robotica umanoide aerea – conclude Pucci – e quindi, come prima cosa, abbiamo fatto un test sulla fattibilità, un lavoro di analisi perché non sapevamo se fosse possibile. Abbiamo così provato, attraverso modelli matematici, la possibilità di realizzarlo e, una volta capito che la cosa era possibile, siamo passati all’analisi e alla caratterizzazione della tecnologia delle turbine da installare sul robot per farlo volare. Anche questa fase si è conclusa e quindi oggi abbiamo i setup sperimentali, dove facciamo gli esperimenti con le turbine. Ora siamo passati alla costruzione del robot che sarà equipaggiato proprio con queste turbine. Io penso che nei prossimi due o tre anni riusciremo a concretizzare dal punto di vista del primo vero volo. E poi possiamo immaginare, se ci saranno gli investimenti, di arrivare a un prodotto da qui a 10 anni”.

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Fabrizio Cerignale

Giornalista professionista, con in tasca un vecchio diploma da perito elettronico. Free lance e mobile journalist per vocazione, collabora da oltre trent’anni con agenzie di stampa e quotidiani, televisioni e siti web, realizzando, articoli, video, reportage fotografici. Giornalista generalista ma con una grande passione per la tecnologia a 360 gradi, da quella quotidiana, che aiuta a vivere meglio, alla robotica all’automazione.

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