A che servono i cobot? Ve lo spiegano FCA, Ferrari, Pirelli, Electrolux, Ferrero (e altri ancora)

Che cosa spinge le aziende ad adottare soluzioni di robotica collaborativa? E quali sono le mansioni che vengono assegnate ai cobot? Ne hanno parlato FCA, Ferrari, Pirelli, Ferrero, Ima, Electrolux, Flexlink e Constructa in occasione di una giornata organizzata da Sick e Universal Robots

Pubblicato il 21 Nov 2019

UR Humam - Cobot Touch


La robotica collaborativa rappresenta oggi solo una piccola parte del mercato dei robot industriali: secondo le stime dell’IFR nel 2018 sarebbero state vendute circa 14.000 unità collaborative, poco più del 3% dei 422.000 robot venduti in tutto il mondo. Eppure, indipendentemente dal valore assoluto delle vendite, tutti sono concordi nel vedere per i cobot un tasso di crescita sostenuto e parecchio superiore rispetto ai robot industriali non collaborativi.

Ma quali sono i driver che spingono le aziende ad adottare questo tipo di tecnologia? Quali sono le sfide che i cobot pongono a chi inizia a utilizzarli? E soprattutto quali sono i compiti che vengono affidati a queste quasi-macchine? Se ne è parlato lo scorso 19 novembre in un incontro organizzato a Bologna, nella affascinantissima cornice del museo Ferruccio Lamborghini, da Sick e Universal Robots. Le due aziende hanno voluto unire le forze per chiarire alle aziende tutti gli aspetti di questa tecnologia, a partire da quelli relativi alla sicurezza fino a quelli più specificamente applicativi.

Nel corso della giornata si è svolta una tavola rotonda che ha visto riuniti intorno al tavolo ben otto testimonial: aziende che hanno avviato dei percorsi di innovazione utilizzando robot collaborativi e che hanno deciso di condividere la loro esperienza. Si tratta di FCA, Ferrari, Pirelli, Ferrero, Ima, Electrolux, Flexlink e Constructa.

“La tavola rotonda, che è stata il cuore della giornata, è stata un momento di totale trasparenza”, dice Alessio Cocchi, country manager per l’Italia di Universal Robots. “Sono emerse le perplessità iniziali delle aziende a implementare i robot collaborativi e la loro profonda soddisfazione una volta che li hanno integrati nei propri processi. I cobot, nella loro esperienza, sono diventati strumento per sostenere competitività, qualità prodotto e crescita. La chiave per dare avvio ad una produzione agile e flessibile”.

Grande attenzione anche per le presentazioni in cui gli esperti di Sick e Universal Robots hanno spiegato come fare l’analisi dei rischi e la messa in sicurezza dell’applicazione per poi passare alla dimostrazione pratica del collegamento di un laser scanner.

Automotive, dal controllo dei pistoni all’avvitatura del cofano

La storia di FCA è particolarmente interessante perché è recentissima. “Dopo una serie di esperimenti fatti con diverse tecnologie e mai approdati in produzione, nel 2019 abbiamo avvicinato i robot collaborativi di Universal Robots. Siamo andati a conoscere i vertici della società in Danimarca e poi abbiamo fatto un workshop per raccogliere tra i nostri tecnici le idee sui possibili utilizzi. Ad aprile eravamo in produzione con diverse unità impiegate in operazioni su linee già esistenti”, spiega Denny Monti.  Qualche esempio? “Un esempio è l’avvitatura del cofano, che è un’operazione gravosa con il rischio di avere disallineamenti. Un altro esempio è nell’applicazione di una guarnizione sul lato interno delle portiere, dove abbiamo ottenuto ottimi risultati in termini di ergonomia e ripetibilità”. Monti sottolinea anche la convenienza economica dell’investimento: “Tutte le applicazioni sono di comprovata efficienza e si ripagano nel giro di pochi mesi. Inoltre i cobot sono leggeri e possono essere agevolmente ricollocati in altre applicazioni”. L’intenzione di FCA ora è di estendere l’applicazione dei cobot anche ad altre attività e sui nuovi progetti.

In Ferrari il primo cobot entra nel 2016. “Dovevamo fare un controllo di visione sul blocco motore per l’inserimento pistoni e controllare il corretto montaggio”, spiega Giuseppe Vaira. “L’operazione richiedeva flessibilità ma anche ripetibilità. Inoltre essendo il blocco motore disposto a V di 90° cercavamo una soluzione che ci permettesse di mantenere l’operatore su una bancata, mentre il robot si occupava delle verifiche sull’altra. Di qui la scelta del cobot di Universal Robots. “Gli spazi che avevamo erano davvero piccoli e non potevamo installare una postazione automatica. Avevamo quindi bisogno di poter condividere gli spazi tra macchina e operatore”. La cosa ha funzionato bene. “Due anni dopo abbiamo rifatto la linea e abbiamo aumentato il numero di cobot, che oggi, oltre a fare il controllo di visione, si occupano anche di alcune operazioni di lubrificazione e stesura di paste sigillanti, sempre nell’ottica di condividere lo spazio con l’operatore che lavora sull’altra bancata”.

Pirelli utilizza i cobot in applicazioni con payload basso e comunque allo scopo di sollevare gli operatori da lavori ripetitivi e faticosi, pur mantenendo zone di lavoro miste. “Al momento il limite principale dei cobot è proprio quello del payload limitato”, spiega Giovanni Modafferi. “Per ovviare al problema usiamo degli agevolatori, ma avere dei cobot con basamenti piccoli e una portata superiore sarebbe un indubbio vantaggio”. L’uso dei cobot – sottolinea Modafferi – non è una soluzione universale. “Dove abbiamo bisogno di un tempo ciclo basso è chiaramente meglio usare robot in gabbia. Ma dove non c’è spazio e serve condividere spazi ristretti la scelta del cobot è premiante”. Importante anche la scelta dei tool: come è noto, essendo i robot delle quasi-macchine, la certificazione di sicurezza deve essere fatta sull’applicazione reale, operando un’analisi dei rischi. “Da questo punto di vista abbiamo scelto di utilizzare tool che non sono esposti e che quindi ci permettono di ridurre il rischio di danni nell’impatto con l’operatore”.

La personalizzazione delle confezioni e il caricamento di raw materials

In Ferrero la sfida era quella di essere reattivi nel cosiddetto “ultimo miglio”, vicino al cliente, nella personalizzazione delle confezioni di cioccolatini, sempre più diversificate e prodotte in lotti piccoli. “Le caratterizzazioni sono rischiose, vanno fatte vicino al cliente e in modo semplice sul piano dell’integrazione con linee di confezionamento e della manutenzione”, spiega Andrea Bongiana.

“Abbiamo iniziato a lavorare con alcune società che fanno applicazioni e abbiamo fatto fatica a trovare una soluzione giusta: i robot classici hanno strutture, gabbie e pesi considerevoli, mentre i nostri prodotti sono leggeri. Ma soprattutto per i nostri sistemi personalizzabili avevamo bisogno di soluzioni economiche, semplici, flessibili e riconvertibili. E così abbiamo sviluppato una struttura collaborativa in grado di gestire diversi tool in automatico”. Per Ferrero lo sviluppo di processi automatizzati è un “germe della flexible automation” e una soluzione che consente all’azienda di “mantenere la competitività facendo fronte all’aumento della domanda senza aumentare i costi di struttura”.

Per IMA la scelta di avviare un investimento in robotica collaborativa si inquadra nel più generale programma IMA Digital, del quale fanno parte anche sperimentazioni con realtà aumentata e virtuale e digital twin. Il cobot, montato su ruote, è stato utilizzato per per caricare raw materials (bobine di etichette) su linea di confezionamento di buste di the e caffè: un’operazione che, come sottolinea Ivan Ragazzini, ha poco valore aggiunto e molto carico fisico.

Test funzionale dei piani cottura

Electrolux, spiega Carlo Gambardella, ha iniziato a usare i cobot nel 2016, introducendo delle unità nel suo reparto R&D, dove si eseguono i test funzionali su forni a incasso, cappe e piani cottura.

L’esigenza nasce dal voler accorciare i test di vita sul prodotto nel suo insieme e ottenere maggiore ripetibilità. “La scelta del cobot – spiega Gambardella – è legata alla necessità di voler condividere gli spazi con gli operatori”.

In Electrolux alcuni cobot sono montati su degli AGV. Grande attenzione, per un’azienda che fa suo il motto “safety first” è stata posta sul tema della sicurezza. “Nei primi impianti abbiamo usato i cobot ma anche delle barriere laser per identificare presenza delle persone nei paraggi. Poi con il passare del tempo e l’esperienza maturata dagli operatori la necessità delle doppie sicurezze è venuta meno”.

Pallettizzazione

FlexLink, una società del gruppo Coesia il cui core business è concentrato sulle piattaforme di convogliatori e robotica per carichi leggeri, è stata un pioniere nell’adozione di soluzioni di robotica collaborativa con l’acquisto dei primi cobots da Universal Robots nel 2013.

“Oggi FlexLink ha installato circa 400 applicazioni nel mondo con robot collaborativi, prevalentemente in applicazioni di palletizzazione”, spiega Marco Alberto, Product Manager Robotics di FlexLink. A convincere FlexLink il fatto che i cobot sono compatti, riposizionabili, intuitivi e sicuri. Alla prossima fiera Interpack 2020 FlexLink esporrà una base versatile in comune per applicazione di carico magazzino e palletizzazione, dunque la stessa base per 2 applicazioni con il 70% di contenuti in comune, e una cella robotizzata di palletizzazione off-the-shelf in cui il robot industriale e l’operatore lavorano simultaneamente ma in aree di sicurezza separate da muri virtuali adottando laser scanner combinati a barriere ad alta risoluzione di Sick.

Anche Constructa ha una lunga esperienza in fatto di robot. “Abbiamo iniziato con gli antropomorfi venti anni fa”, spiega Marco Cortini. Per un periodo abbiamo anche sviluppato un nostro robot SCARA per la pallettizzazione”.

Come integratore Constructa lavora in base alle specifiche esigenze dei clienti, che chiedono sempre più spesso di migliorare la qualità dei processi produttivi, ridurre la fatica, migliorare l’ergonomia e operare con sicurezza in aree ad elevata pericolosità, oltre ad essere attente alla riduzione dei costi. Tutti fattori che hanno portato l’azienda a spingere sui robot collaborativi. “Abbiamo montato i primi cobot su un binario per poi passare al montaggio su piattaforme mobili per avere maggiore flessibilità”.

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Franco Canna
Franco Canna

Fondatore e direttore responsabile di Innovation Post. Grande appassionato di tecnologia, laureato in Economia, collabora dal 2001 con diverse testate B2B nel settore industriale scrivendo di automazione, elettronica, strumentazione, meccanica, ma anche economia e food & beverage, oltre che con organizzatori di eventi, fiere e aziende.

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