In genere, un robot viene valutato per la sua capacità di eseguire, in maniera precisa ed efficiente, il compito per il quale è stato programmato. È un ‘semplice’ e perfetto esecutore, che segue ed esegue meccanicamente operazioni e obiettivi prestabiliti.
Ma secondo un Pool di ricercatori italiani e internazionali in futuro le cose potrebbero essere diverse: la nuova frontiera della robotica è rappresentata infatti da macchine in grado non solo di eseguire alla perfezione, ma anche di capire ciò che fanno. Automi capaci di raggiungere un obiettivo, ma anche di sapere qual è questo obiettivo finale, di conoscere la ragione per cui compiono un certo lavoro. Proprio come fanno – o almeno come di solito dovrebbero fare – gli umani. In modo da essere ancora più completi, flessibili ed efficienti.
La proposta, e la prospettiva, è il risultato di una ricerca nata dalla collaborazione tra l’Università di Birmingham, l’Università di Pisa e l’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, la Queensland University of Technology di Brisbane e il German Aerospace Center.
“Finora un robot è stato programmato e utilizzato per concentrarsi esclusivamente sull’azione, sull’attività operativa, ad esempio per l’acquisizione e manipolazione di un oggetto, trascurando l’obiettivo di ciò che sta facendo”, rimarcano gli scienziati del settore.
Che spiegano: “anche la maggior parte delle metriche di valutazione su efficienza e precisione, usate nell’analisi robotica, non tengono conto del compito finale nel loro giudizio di qualità e sul livello di successo. Ma questo è un limite che va superato”.
Anche le macchine, secondo la squadra di esperti dei diversi Centri internazionali, devono “comprendere il senso di ciò che stanno facendo, e non eseguire meccanicamente operazioni e comandi che gli sono stati impartiti. Gli automi non dovranno solo agire, ma anche capire qual è l’obiettivo di quelle azioni, proprio come gli uomini. Per questo, proponiamo una nuova metrica di valutazione dell’automazione, incentrata non solamente sull’efficienza operativa, ma sul compito finale, sul traguardo da raggiungere. Considerando anche le condizioni in cui operano gli automi, che devono essere in sicurezza per loro stessi e per gli esseri umani con cui si compie l’interazione”.
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Non solo azione ma anche ‘pensiero’
L’analisi, con le sue proposte innovative, è stata pubblicata dalla rivista scientifica Nature Machine Intelligence, una ‘branca’ specialistica del colosso Nature, e questi cambiamenti, secondo gli esperti, potrebbero portare a importanti novità nel mondo della robotica.
Tra i settori interessati, come anticipa Valerio Ortenzi, ricercatore dell’Università di Birmingham e tra gli autori dello studio, “il cambiamento nel pensiero di un robot potrebbe investire vari settori, tra cui quelli dell’automazione, dell’Industria 4.0 o quello dell’interazione uomo-robot, non solo in fabbrica ma ad esempio anche in ambienti domestici”.
In robotica afferrare un oggetto è un’azione perfezionata molti anni fa, ma tuttora rappresenta una sfida ancora da completare: la maggior parte delle macchine utilizzate finora nelle fabbriche lavora in maniera automatica, raccogliendo oggetti in luoghi e tempi prestabiliti.
Conoscere l’obiettivo finale
Ad esempio, può essere il caso di un robot a cui viene chiesto di consegnare all’uomo un cacciavite: “i codici di programmazione in possesso del robot lo spingeranno a impugnare il manico e passarvi il cacciavite dalla parte sbagliata, compiendo un passaggio di consegne pericoloso”, fa notare Ortenzi: “l’automa invece ha bisogno di sapere qual è l’obiettivo finale di un’azione, in modo da ripensare la sua attività e adattarla al contesto e al caso concreto, che è diverso da un altro”.
Un altro esempio pratico che fanno i ricercatori può riguardare un automa in una Casa di cura, che passa un bicchiere d’acqua a un degente anziano: “il robot non deve solo impedire che il bicchiere caschi o che si versi l’acqua, ma capire a chi passerà il bicchiere per favorire il passaggio dell’oggetto. In altre parole, quello che è ovvio per un essere umano deve essere programmato in un robot e questo implica un approccio totalmente diverso rispetto a quanto fatto fino a oggi”, sottolineano i ricercatori.
Nuovi criteri di programmazione
Servono quindi nuovi criteri di programmazione, nuove regole per l’interazione tra robot ed esseri umani. Pensare e creare robot ancora più complessi e completi rispetto a quelli realizzati finora è un lavoro che apre ovviamente anche grandi e fondamentali questioni etiche, che sono anch’esse al centro del dibattito tra scienziati, filosofi dell’innovazione e ricercatori, per dare un percorso condiviso e sostenibile al progresso tecnologico e dell’automazione.
Come osserva Marco Controzzi, ricercatore dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e altro autore dello studio, “siamo convinti che una nuova metrica di valutazione della robotica, basata sull’osservazione di come l’uomo interagisce con le cose e con l’ambiente, sia fondamentale per lo sviluppo di una nuova generazione di robot, in grado non solo di operare con successo in situazioni complesse, ma soprattutto di collaborare in modo sicuro ed efficace con l’uomo”.