Com’è cambiata l’occupazione negli ultimi dieci anni in Italia? Osservando il rapporto 2019 dell’Istat, che analizza lo scenario degli ultimi 10 anni, con un focus sul 2018, emerge una situazione in lieve miglioramento. Numerose però, sono ancora le zone d’ombra.
L’occupazione torna ai livelli pre-crisi, diminuisce il numero dei disoccupati, ma aumentano i part time involontari e i contratti a tempo determinato. Non solo, esiste un divario importante tra lo stato occupazionale dei giovani rispetto agli adulti e persiste il gap tra Centro-Nord e Sud Italia.
Inoltre, torna a cresce l’occupazione per le professioni qualificate, in particolare nei settori dell’automazione e dell’innovazione digitale.
Vediamo nel dettaglio cosa emerge dai dati Istat.
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L’occupazione torna ai livelli pre-crisi
Nel 2018 l’occupazione aumenta per il quinto anno consecutivo (+192 mila persone, +0,8%), anche se la crescita è più contenuta rispetto ai due anni precedenti (+1,2 e +1,3%, rispettivamente, nel 2017 e 2016). Il livello dell’occupazione si attesta come il più alto degli ultimi dieci anni, superando di 125 mila unità quello del 2008 (+0,5%). Anche il tasso di occupazione della popolazione tra 15 e 64 anni (58,5%) sfiora i livelli massimi del 2008.
Il ritorno dell’occupazione ai livelli pre-crisi è dovuto esclusivamente al lavoro dipendente che, negli ultimi dieci anni, è aumentato di 682 mila unità (+4,0%), a fronte di un calo di oltre mezzo milione di lavoratori autonomi, la cui quota sul totale occupati è scesa progressivamente dal 25,5% nel 2008 al 22,9% nel 2018.
Il forte aumento del lavoro dipendente nel corso del decennio però non deve ingannare: è legato quasi esclusivamente ai contratti a tempo determinato (+760 mila unità rispetto al 2008), anche se quelli a tempo indeterminato, tra il 2014 e il 2017, hanno gradualmente recuperato le perdite subite durante la crisi. Dopo un nuovo calo nel 2018 (-108 mila, -0,7%), l’occupazione dipendente a carattere permanente ha mostrato segni di recupero nei primi mesi del 2019.
Lo scenario degli indipendenti vede invece un forte calo dovuto alla diminuzione dei collaboratori, quasi dimezzati in dieci anni (-220 mila, -48,4%), degli autonomi con dipendenti (-189 mila, -11,8%), e di quelli senza dipendenti (-148 mila, -3,9%). Questi ultimi sono tuttavia tornati a crescere negli ultimi quattro anni, raggiungendo il 69,1% sul totale dei lavoratori indipendenti (+4 punti percentuali rispetto al 2008).
Si registra inoltre un aumento dei part-time, legato principalmente alla ricomposizione dell’occupazione per settore di attività economica, con un aumento del peso dei comparti a più alta concentrazione di lavoro a orario ridotto (sanità, servizi alle imprese, alberghi e ristorazione e servizi alle famiglie) e una riduzione dell’incidenza dei settori a maggiore intensità di occupazione a tempo pieno (industria in senso stretto e costruzioni). Analogamente, la dinamica dell’occupazione per professione ha favorito quelle a più alta intensità di lavoro part-time, in particolare le professioni addette al commercio e ai servizi, e quelle non qualificate.
Si riduce anche il numero dei disoccupati per il quarto anno consecutivo nel 2018 (-151 mila, -5,2%), rimanendo tuttavia 1 milione e 100 mila in più rispetto a quelli del 2008. Il tasso di disoccupazione ha seguito lo stesso andamento, raggiungendo il 10,6% (6,7% nel 2008).
Anche se lo scenario dell’occupazione sembra essere positivo, analizzando in profondità i dati emerge una realtà meno incoraggiante: sebbene il numero di occupati abbia superato i livelli pre-crisi, il volume di lavoro misurato in termini di ore lavorate è ancora significativamente inferiore.
Rispetto al 2008 si contano complessivamente 876 mila occupati a tempo pieno in meno e un milione di occupati part-time in più. Sono aumentati in particolare gli occupati in part-time involontario (quasi un milione e mezzo in più rispetto al 2008), il cui peso sul totale dei lavoratori a orario ridotto ha raggiunto nel 2018 il 64,1%. Il lavoro a tempo pieno è comunque tornato a crescere negli ultimi anni (+684 mila unità fra il 2013 e il 2018).
Aumenta l’occupazione femminile, si riducono stabilità e orari
Nel quadro occupazionale dipinto dai dati Istat emerge un altro dato interessante: il processo di terziarizzazione e la crisi dei settori ad alta intensità di lavoro maschile hanno portato a un aumento della presenza femminile tra gli occupati.
Nel decennio analizzato, le donne occupate sono aumentate di circa mezzo milione (+5,4%): un +0,1% tra il 2008 e il 2013 e un + 5,3% tra il 2013 e il 2018. La situazione maschile invece, non ha colmato la perdita di 900 mila occupati subita durante la crisi, nonostante il recupero di occupazione degli ultimi cinque anni (+532 mila; +4,1%).
La partecipazione delle donne al mercato del lavoro è legata al ruolo ricoperto all’interno del nucleo familiare. Tra il 2013 e il 2018, l’aumento occupazionale è stato più contenuto (+1,5 punti) per le donne tra 25 e 49 anni, poiché in questa fascia di età si registra la maggiore concentrazione di madri con figli minori.
Infine, anche il dato positivo dell’occupazione femminile nasconde un’ombra: si accompagna a una riduzione della stabilità e delle ore lavorate. Delle 492 mila occupate in più tra il 2013 e il 2018, il 40,4% svolge un lavoro part-time involontario.
Divario occupazionale tra giovani e adulti
La metamorfosi dello scenario occupazionale ha coinvolto anche i giovani: i 15-34enni sono meno presenti tra gli occupati (dal 30,2% nel 2008 al 22% nel 2018) ma sono sempre più istruiti (i laureati 20-34enni passano dal 16,3% nel 2008 al 22% nel 2018).
Anche in considerazione della minore esperienza lavorativa, tra i giovani sono più rappresentate le professioni addette al commercio e servizi (il 26,9 % dei giovani e il 17,0 per cento degli adulti) e meno le professioni qualificate (rispettivamente 29,0 e 37,0%).
Chi ha conseguito almeno la laurea presenta nel 2018 un tasso di occupazione pari al 78,7%, valore superiore di oltre venti punti percentuali rispetto al tasso di occupazione totale (58,5 per cento) e di quasi 35 punti percentuali rispetto a chi possiede al massimo la licenza media.
Inoltre le professioni qualificate, dopo le forti perdite subite negli anni della crisi, sono tornate gradualmente a crescere a partire dal 2014: nel 2018 rappresentano l’83,2% della crescita occupazionale rispetto all’anno precedente, soprattutto nei settori di informazione e comunicazione, servizi alle imprese e industria.
Dai dati occupazionali dell’ultimi decennio emerge anche un divario occupazionale tra giovani e adulti.
La quota di dipendenti a tempo indeterminato tra i giovani è scesa dal 61,4% del 2008 al 52,7% del 2018, mentre quella degli over 35 è aumentata di 1,1 punti attestandosi al 67,1%. Inoltre circa un terzo dei 15-34enni occupati nel 2018 ha un lavoro a tempo determinato (era il 19% nel 2008).
Gap occupazionale tra Nord e Sud
Il gap occupazionale si manifesta anche in relazione alle diverse aree del Paese. Nel 2018 il recupero dell’occupazione al Centro-nord, iniziato nel 2013, ha portato al superamento del numero di occupati rispetto al 2008 (384 mila, +2,3%) mentre nel Mezzogiorno la situazione è ampiamente negativa (-260 mila;-4,0%).
Oltre al più forte aumento del lavoro a termine, la differenza nei livelli di crescita tra le aree del Paese è dovuta alla dinamica del lavoro permanente. Complessivamente nel Centro-nord vi sono 195 mila dipendenti a tempo indeterminato in più rispetto al 2008 (+1,8%), mentre nel Mezzogiorno ve ne sono 273 mila in meno (-7,0%). Anche il calo del lavoro a tempo pieno è stato più forte nel Mezzogiorno.
Nel 2018 meno della metà degli occupati nel Mezzogiorno può contare su un lavoro stabile e a tempo pieno (48,8%, in calo di 5,5 punti percentuali), contro il 54% del Centro-nord (-2,6 punti percentuali). Nel Meridione resta anche molto più alto l’impatto del lavoro irregolare, se pur in diminuzione.
La ripresa nel Centro-nord è stata trainata dalle professioni qualificate, tornate ai livelli pre-crisi (+71 mila). Al contrario, nel Mezzogiorno l’andamento positivo degli ultimi anni ha riguardato in particolare le professioni non qualificate e quelle esecutive nel commercio e nei servizi. Le professioni qualificate solo le uniche ad avere invece ancora un saldo negativo tra il 2013 e il 2018.
Cresce l’occupazione per le professioni qualificate
A livello nazionale, dal 2014 sono tornate a crescere le professioni qualificate: nell’ultimo anno hanno rappresentato il 83,2% dell’aumento complessivo dell’occupazione. Le imprese che investono in automazione e innovazione digitale sono più propense ad assumere lavoratori con un elevato profilo professionale e tecnico e a offrire una maggiore retribuzione.