Anche la Cina rallenta. Dopo i dati sull’economia tedesca, e le continue limature sulla crescita italiana, un altro segnale arriva a offuscare le previsioni per il 2019, mai così incerte. L’attività del settore manifatturiero cinese infatti si è contratta in dicembre per la prima volta in più di due anni.
L’Ufficio nazionale cinese di statistica ha dichiarato che il PMI, il Purchasing Managers Index del settore manifatturiero (si tratta di un indicatore mensile che misura la salute dell’economia) è stato di 49,4 – significativamente inferiore ai 49,9 attesi dagli analisti. Il dato di dicembre è peggiore del precedente, che era di 50 punti, valore spartiacque fra le previsioni di espansione e di contrazione.
Colpisce in particolare il dato dell’export con i nuovi ordinativi in contrazione per il settimo mese consecutivo e la crescita inferiore al 5% di settori come l’acciaio o il cemento che infrangono così la soglia vitale del 6%.
Infine, un altro segnale negativo è arrivato dalle difficoltà di Apple sul mercato cinese, anche se in questo caso può giocare la concorrenza dei prodotti locali. Tim Cook, il Ceo della Mela, ha dichiarato che “Pur attendendoci difficoltà in mercati emergenti-chiave, non avevamo previsto l’ampiezza della decelerazione economica, particolarmente nella Greater China”.
L’unico raggio di sole arriva dall’indice Pmi relativo al settore dei servizi arrivato a 53,9 dopo il 53,8 di novembre, ben sopra quindi il valore di 50. Un segnale, indicano gli economisti di Nomura, del riequilibrio dell’economia cinese verso i servizi che oggi rappresentano più della metà dell’economia del Paese. Tutto questo tenendo conto che le statistiche ufficiali cinesi non sono famose per la loro attendibilità tanto che si va da una crescita ufficiale del 6,5% per quest’anno a voci su report verbali di accademici cinesi che parlano dell’1,5%.
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2019 nel segno dell’incertezza
Il rallentamento spaventa i mercati anche perché l’Eurozona arranca e si teme la fine del lungo decennale periodo di crescita degli Stati Uniti. A novembre dello scorso anno il tasso tendenziale di crescita dell’economia mondiale previsto era superiore al 5%, oggi è inferiore al 3%.
Come sempre la finanza si muove in anticipo e il 2018 disastroso dei mercati internazionali sconta la situazione che si sta delineando. L’anno scorso seimila miliardi di dollari sono evaporati sui mercati finanziari e di questi duemila miliardi sono in Cina la cui crescita, tra l’altro, è stata superata da quella dell’India (quest’anno il 13%).
La situazione cinese, e le politiche economiche dei vari governi, è uno degli elementi che contribuisce a determinare la situazione di incertezza che caratterizza la situazione attuale e le previsioni per il 2019 (per l’Europa possiamo aggiungere anche Brexit e le elezioni europee). Negli Usa, dove si segnala una crescita continua e moderata anche se si attende un rallentamento, la Fed naviga a vista, afferma di basare la sua valutazione sui dati e, nonostante la proteste di Trump ha alzato i tassi a breve di 25 punti base.
Altra incertezza deriva dalle dinamiche tariffarie. All’inizio di dicembre, Donald Trump e il presidente cinese Xi Jinping hanno concordato un cessate il fuoco di 90 giorni che ha ritardato il previsto aumento delle tariffe per un valore di 200 miliardi di dollari di merci cinesi. Sabato scorso, Trump ha scritto su Twitter che ha avuto una “lunga e molto buona chiamata” con Xi e che un possibile accordo commerciale tra i due paesi stava procedendo bene.
La situazione rimane però difficile anche perché, come ha fatto notare l’economista di Ref Ricerche Fedele De Novellis a Radio 24 “L’incidenza dei dazi oggi è modesta ma non si sa dove si potrebbe arrivare. Oggi le catene del valore prevedono l’assemblaggio di beni finali prodotti in diversi Paesi sulla base dei vantaggi comparati. L’esistenza di barriere commerciali potrebbe alterare questo equilibrio e posticipare o fermare investimenti da parte delle multinazionali incerte su dove collocare gli impianti”.
Il ritiro degli Usa dalla Siria e le sanzioni all’Iran provocano tensioni sul prezzo del petrolio e non aiuta anche la politica economica americana che, al di là di quanto prescrivono i manuali, con il possibile aumento dei tassi e una avanzata fase del ciclo prevede una politica di bilancio espansiva quando non se ne sente il bisogno visto che al momento occupazione e domanda interna vanno bene.
Una cortina di ferro economica
L’incertezza è tale che anche il governo cinese sembra attendere gli eventi. La riunione degli organismi decisionali a dicembre si è conclusa con un rinvio per vedere cosa succede con gli Usa e l’unica decisione importante degli ultimi tempi riguarda la banca centrale cinese che ha annunciato un nuovo taglio della quantità di denaro che le banche devono detenere come riserve.
L’intervento libererà 116 miliardi di dollari per nuovi prestiti e quindi stimolare l’economia. Ma gli economisti di Nomura sostengono che per la Cina “il peggio deve ancora venire”. “Guardando al futuro, vediamo più venti contrari alla crescita dall’indebolimento della domanda interna, il ciclo del credito in corso, un settore immobiliare di raffreddamento e persistenti tensioni commerciali Cina-Usa”. E i Paesi con un forte export hanno molto di cui preoccuparsi.
Non bisogna dimenticare poi che l’amministrazione Trump è decisa a contrastare la crescita economica cinese, “oggi con i dazi domani chissà“, come ha scritto Lucio Caracciolo direttore di Limes.
Secondo la denuncia dell’ex segretario al Tesoro Henry M. Paulson Jr. il percorso prevede una “cortina di ferro economica” a costo “di disfare l’economia globale”. Non è solo un problema di riequilibrio del disavanzo commerciale. Tuto questo contro un Paese che negli anni, grazie a fortissimi ritmi di crescita ha portato milioni di persone dalle campagne in città dando un tenore di vita prima impensabile. Difficile tornare indietro.