La trasformazione tecnologica e digitale sta avendo ripercussioni non solo sulle imprese, ma anche sulla società. Questa situazione contrastante si manifesta in primis nel rapporto tra il mondo del lavoro e i robot, sempre più utilizzati nei siti produttivi: da una parte le macchine sollevano gli umani dallo svolgere attività estremamente faticose e contribuiscono così a creare posti di lavoro qualificati; dall’altra esiste un innegabile “effetto sostituzione”, a cui va aggiunto il fatto che l’introduzione delle tecnologie digitali rischia di aumentare il gap delle competenze e di emarginare una fetta di lavoratori.
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Investire in formazione per superare le disparità
Il segretario generale della Cgil Susanna Camusso sottolinea come questa disparità, sociale prima che tecnologica, abbia il suo fulcro nella disponibilità o meno da parte degli investitori di puntare sulla formazione del personale: “Bisogna mettere i lavoratori nelle condizioni di capire cos’hanno intorno e di interagirci. È necessaria la formazione di massa perché se no si generano due mondi, quello che avrà le condizioni per stare nell’ambito delle competenze e quello che sarà sempre più emarginato”, come ha spiegato nel corso di una tavola rotonda sul tema organizzata alla Maker Faire di Roma.
L’analisi di Camusso evidenzia come una parte degli imprenditori in Italia “investa e innovi, determinando qualificazione” mentre tuttavia “tanti giocano sul risparmio e il minor costo del lavoro. Bisogna avere il coraggio di capire che la formazione è un diritto e un investimento”.
I robot come colleghi
Ma se da una parte l’introduzione di macchinari sempre più sofisticati rischia di erigere muri tra chi li sa utilizzare e chi no, i robot portano anche benessere sul posto di lavoro, creando condizioni migliori. La pensa così Domenico Appendino, presidente di Siri, la Società italiana per la robotica industriale: “I robot creano posti di lavoro più qualificati, meglio retribuiti: tutti i Paesi in cui i robot sono in crescita hanno un tasso di disoccupazione in diminuzione”, spiega. In contrasto con le tesi sostenute da Camusso, Appendino rileva quindi vantaggi per l’occupazione, soprattutto dal punto di vista della qualità.
Alla visione antropocentrica, nella quale il robot è pensato “come un collega”, aderisce anche Paolo Vaniglia di Kuka che, riferendosi alla robotica collaborativa, spiega: “I cobot sono realizzati per essere sicuri, muoversi lentamente e ridurre la forza dell’eventuale impatto con l’operatore e per questo è possibile eliminare le gabbie”, consentendo all’operaio umano di avere ritmi più comodi senza il rischio di compromettere la produzione, o di compiere operazioni fisicamente prostranti senza affaticarsi. Un metodo di lavoro ancora circoscritto a solo il 3% del mercato, ma che sta avendo successo, tanto che le previsioni dell’IFR indicano una crescita a doppia cifra per i prossimi tre anni.
Una riflessione per il futuro
Impossibile prevedere, secondo Camusso, quale sarà la situazione tra vent’anni. Per preparare le future generazioni ad affrontare la situazione, il segretario della Cgil propone un approccio metodologico, che parta dall’istruzione scolastica.
Ottimista Appendino, che rileva come “tutte le volte che c’è stata una rivoluzione industriale c’è stata diffidenza”. Su un concetto però tutte le opinioni sul tema convergono: al di là della tecnologia, dell’innovazione e del mondo del lavoro, al centro rimane sempre l’uomo.
Qui di seguito, l’intervista che ci ha rilasciato Domenico Appendino.