Un imprenditore italiano su due, il 55,8%, percepisce la propria azienda come innovativa e il digitale ha trasformato in modo significativo oltre 6 aziende del manifatturiero su 10. I dati sull’innovazione, che arrivano dall’osservatorio presentato da Senaf in occasione del nuovo tour dei “Laboratori MecSpe fabbrica digitale”, mostrano una tendenza alla fiducia da parte delle imprese della meccanica made in Italy.
Ottimismo che si spiega per i risultati economici che confermano la tendenza a una crescita delle aziende strettamente correlata all’aumento degli investimenti in tecnologie digitali. Nel primo semestre del 2018, infatti, c’è stato un aumento dei fatturati per il 61,4% delle PMI del comparto della meccanica e si prevede un aumento nella seconda parte dell’anno, per il 66,6% delle imprese.
“Stiamo finalmente raccogliendo i frutti tangibili di un processo di trasformazione che ha attraversato il nostro paese e di un senso di fiducia che guida le aziende italiane – commenta Maruska Sabato, Project Manager di MecSpe – e il sentiment tracciato dall’Osservatorio ne è la conferma. La considerazione che gli investimenti attuati nell’ambito della tecnologia e innovazione siano serviti è positiva per la maggior parte degli imprenditori, convinti che questa sia la direzione giusta su cui proseguire”.
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Tutti i numeri dell’innovazione
Secondo la ricerca, condotta su un campione di aziende della meccanica nei mesi di luglio-agosto 2018, circa 7 imprenditori italiani su 10 ritengono che tra i migliori strumenti di avvicinamento all’innovazione ci sia innanzitutto il trasferimento di conoscenza, a seguire la consulenza mirata (64,8%), le comparazioni con aziende analoghe (36,4%), i workshop (31,8%) e la tutorship di un’accademia o università (23,3%).
L’87,6% ritiene, inoltre, di avere un livello di conoscenza medio-alto rispetto alle opportunità tecnologiche e digitali sul mercato, il 21,2% investirà nel 2018 dal 10% al 20% del fatturato in ricerca e innovazione, e in molti credono che l’innovazione abbia consentito alle aziende di fare sistema e di creare nuove filiere.
Seppure una parte delle aziende in esame non abbia ancora attivato partnership tecnologiche, il 30,9% sta prendendo in considerazione di farlo, mentre il 30,4% ha fiducia nel concetto di filiera e ha già puntato su queste collaborazioni per favorire lo sviluppo tecnologico della propria azienda.
Si investe, sopratutto, in sicurezza ma a frenare è il rapporto costi-benefici
Lo studio conferma le intenzioni di investimento nelle nuove tecnologie abilitanti, già in largo uso nelle PMI della meccanica e della subfornitura. A guidare la classifica gli investimenti in sicurezza informatica (89,2%) e la connettività (79,7%), il cloud computing (67,1%), la robotica collaborativa (35,4%), la simulazione (31%), i big data (29,1%), la produzione additiva (28,5%) e l’Internet of Things (27,8%). La realtà aumentata è stata privilegiata dal 15,2%, così come i materiali intelligenti, mentre le nanotecnologie dal 7%.
Al momento, i principali fattori di rallentamento della digitalizzazione, spiega lo studio, sono rappresentati da un rapporto incerto tra investimenti e benefici (per il 43,5% delle aziende), dagli investimenti richiesti troppo alti (35,7%), dalla mancanza di competenze interne (26,2%), dall’arretratezza delle imprese con cui si collabora (17,9%), nonché dall’assenza di un’infrastruttura tecnologica di base adeguata (14,3%), dalla mancanza di una chiara visione del top management (12,5%) e da troppi dubbi sulla sicurezza dei dati e sulla possibilità di cyber attack (4,8%).
La persona resta centrale ma entro il 2030 cambieranno le figure professionali
Importante, nello studio dei processi di trasformazione digitale, il rapporto uomo-macchina. Oltre la metà del campione (54,8%), ritiene che le persone abbiano sempre un ruolo fondamentale, nei processi, mentre per il 36% è la tecnologia ad avere un ruolo di primo piano, ma solo se supportata da un’adeguata formazione umana e da un cambiamento culturale. L’8,6% ritiene la tecnologia fondamentale e l’unico fattore abilitante per la costruzione di soluzioni, che consentono di migliorare paradigmi di processo ormai obsoleti, mentre solo lo 0,5% ha una visione catastrofica, secondo cui le persone non assumono più un ruolo centrale e sono destinate ad essere sostituite dalle macchine.
Guardando al futuro, ai giovani e alle digital skill, i profili specializzati più richiesti entro il 2030 saranno il Robotic engineer (30,3%), gli specialisti dei big data (17,9%), i programmatori di intelligenze artificiali (13,8%); a seguire lo specialista IoT (9,2%), il multichannel architect (7,7%) e gli esperti di cybersicurezza (6,2%). Per la ricerca di nuove professionalità le aziende si indirizzano verso agenzie di ricerca del personale (53,4%), Università (38,9%), Istituti tecnici (36,1%), società di consulenza (24,5%), Istituti e scuole professionali (24%). Non mancano però come punto di riferimento anche le inserzioni (15,4%) e gli uffici di collocamento (9,6%).
Industria meccanica, come è andato il primo semestre
Secondo un focus sulla situazione economica delle PMI della meccanica l’andamento aziendale risulta complessivamente soddisfacente, con il 74,8% degli imprenditori che parla di performance aziendale molto positiva, il 24,1% che si dice mediamente appagato e solo l’1,1% contrariato. Nella prima metà del 2018, rispetto allo stesso periodo del 2017, i fatturati hanno registrato una crescita per il 61,4% delle aziende, mentre il 32,4% dichiara stabilità e il 6,1% un calo. Un aumento significativo anche dal punto di vista del confronto con il 2017, con ben 12,6 punti percentuali in più.
Il portafoglio ordini è giudicato “adeguato” ai propri livelli di sostenibilità finanziaria dall’89,6% delle imprese, contro un 10,4% per cui è insufficiente. Per quanto riguarda le previsioni per la restante parte dell’anno in corso, sul fronte dei fatturati il 66,6% si aspetta una crescita, il 28,5% stabilità e il 4,9% prospetta un calo. Numeri ancora in aumento rispetto a quelli di un anno fa, quando la percentuale delle aspettative positive era del 57,9%.
L’export resta fattore di traino per le PMI italiane del manifatturiero con 7 su 10 (70,1%) che dichiarano di esportare i propri prodotti e servizi, con un’incidenza variabile. Il 25,4% dichiara di realizzare all’estero meno del 10% del proprio fatturato, mentre il 4,5% “oltre il 70%”. Chi esporta punta prevalentemente verso gli Stati dell’Europa Centro-Occidentale (82,4%), seguiti da quelli dell’Europa dell’Est (49,5%) e dell’Asia (30,8%).
Non ci sono dubbi sul futuro del mercato in cui si trovano a operare le singole aziende: nei prossimi 3 anni, solo il 6,5% si aspetta una contrazione dello scenario in cui opera contro un 59,8% apertamente convinto dello sviluppo del proprio mercato di riferimento e un 33,7% che crede non ci saranno grosse variazioni rispetto all’andamento attuale.