Startup innovative “sotto la lente”, online la prima indagine nazionale

Pubblicato il 28 Feb 2018

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Quarantenne, maschio, con una preparazione universitaria di tipo ingegneristico o manageriale, che conosce almeno una lingua straniera e ha aperto la sua impresa per realizzare prodotti o servizi innovativi sfruttando le competenze acquisite e restando nella propria regione di riferimento.

E’ questo l’identikit dello “startupper” italiano, che emerge dalla Startup Survey, la prima indagine nazionale sulle imprese innovative, realizzata per portare alla luce aspetti inediti socio-culturali sul fenomeno delle nuova imprenditoria innovativa in Italia e misurare il livello di conoscenza e di soddisfazione degli startupper rispetto alle agevolazioni loro rivolte.

Startup Survey, il quadro di riferimento

Ai fondatori di startup è stato chiesto di raccontare la loro esperienza da una pluralità di prospettive: tra queste, il loro percorso di studi e professionale, con un focus sulla rilevanza dello stesso rispetto all’attività dell’impresa, i canali attivati per il finanziamento della startup e le strategie adottate a tutela del contenuto innovativo dell’idea imprenditoriale. Un questionario composto da 42 domande e suddiviso in quattro sezioni tematiche:

  • Nella prima sezione vengono accesi i riflettori sul “capitale umano” delle startup innovative, ossia sulle caratteristiche dei soci e dei dipendenti che ne compongono la forza lavoro. L’indagine smentisce alcuni luoghi comuni, come quello che descrive i founder come “nativi digitali” alla prima esperienza professionale.
  • La seconda sezione riguarda un tema molto ricorrente nel dibattito nazionale sulle startup: l’accesso alla finanza. Ne risulta, tra l’altro, che l’enfasi riposta sul tema del venture capital pare non essere condivisa da una parte non trascurabile degli startupper.
  • La terza sezione approfondisce il processo seguito dai fondatori delle startup per acquisire, tutelare e portare sul mercato la propria innovazione. Emerge un dato preoccupante: molti startupper non utilizzano – e spesso nemmeno conoscono – gli strumenti di protezione della proprietà intellettuale.
  • La quarta e ultima sezione raccoglie il punto di vista degli startupper sulle misure di agevolazione loro attribuite dallo Startup Act italiano

Tutti i numeri delle startup innovative

Il sondaggio, durato due mesi, ha preso in considerazione tute le 5.150 imprese iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese dedicata alle startup innovative al 31 dicembre 2015 con un un tasso di risposta del 43,7% che corrisponde a 2.250 startup innovative. Un risultato considerato molto positivo visto il carattere volontario della partecipazione all’indagine e la complessità del questionario.

Dei 4.363 soci operativi l’82% sono di genere maschile e presentano un’età media di 43 anni. Hanno un titolo di studio pari o superiore alla laurea triennale nel 72,8% dei casi, per lo più in materie tecnico-ingegneristiche ed economico-manageriali, con una concentrazione molto più alta di soci con master e dottorato tra le startup di Ricerca e Sviluppo. La maggior parte dei soci laureati (88%) dichiara di svolgere mansioni coerenti con il proprio percorso di studi e il 50% di coloro che hanno avuto esperienze professionali prima di fondare una startup (l’87,1 per cento dei soci) svolge nella stessa delle attività in linea con i precedenti impieghi.

La quasi totalità dei soci (96%) dichiara inoltre di conoscere almeno un’altra lingua oltre l’italiano (l’inglese nella maggior parte dei casi, seguito dal francese e dallo spagnolo), mentre la metà ha fatto esperienze di studio o lavoro in altri Paesi. Il radicamento territoriale dei soci appare molto elevato: per l’83% la regione sede della startup è la medesima nella quale sono state condotte le principali esperienze formative o lavorative.

Dipendenti giovani, contratti atipici e poche “donne manager”

Dal punto di vista motivazionale le ragioni che hanno portato all’avvio dell’impresa sono la realizzazione di prodotti o servizi innovativi, seguita dall’ambizione di avviare un’impresa di successo e redditizia. Infine, la metà dei soci dichiara che l’avvio della startup non ha ancora prodotto effetti significativi sul proprio reddito.

Per quanto riguarda i dipendenti emerge come il 59,4% delle imprese ne impieghi almeno uno, per un totale di 5.704. Circa la metà è di età compresa tra i 25 e i 34 anni, e circa tre su quattro sono uomini. Quasi un quarto dei dipendenti sono soggetti a forme contrattuali atipiche, per lo più contratti a progetto, e l’incidenza dei dipendenti donna è decisamente più bassa tra i dirigenti che tra gli impiegati e i tirocinanti.

Analizzando le variazioni territoriali e settoriali emerge che vi sono in proporzione più soci donna nelle startup del Centro e del Mezzogiorno e in quelle del settore ricerca. sviluppo e consulenza gestionale, mentre la prevalenza maschile è più forte nei settori software e macchinari. Quest’ultimo, insieme alle attività di consulenza, tende a presentare soci più maturi (over 45), mentre gli under 35 sono relativamente più concentrati nei settori dell’Elaborazione dati e del Design.

Come si finanziano le startup innovative

L’indagine analizza anche il tema dell’accesso alla finanza da molteplici punti di vista: composizione delle compagini sociali; fonti di finanziamento; livello di soddisfazione rispetto alle esigenze di approvvigionamento finanziario delle startup. Per quanto concerne la composizione per tre quarti i soci sono gli stessi fondatori dell’impresa: nel 43 per cento dei casi si tratta di due soci, nel 35,8 per cento di 3 o 4. Il turnover si intensifica, come intuibile, man mano che l’impresa diventa più matura.

Con riguardo alle fonti di finanziamento risulta che al momento della fondazione il 73,2 per cento delle imprese ha fatto principalmente ricorso alle risorse proprie dei soci fondatori, le donazioni di family and friends sembrano avere un ruolo marginale e una quota minoritaria delle imprese è stata avviata mediante finanziamenti pubblici (nel 3 per cento dei casi di origine nazionale, nel 7,7 per cento di fonte regionale o locale), soprattutto nelle regioni meridionali.

Il ricorso alle risorse pubbliche diventa più significativo per le imprese più mature, soprattutto se impegnate in attività di ricerca e sviluppo e solo l’8,2 per cento delle startup innovative ha ricevuto in fase di costituzione finanziamenti in equity da società di venture capital, business angel o altre imprese, percentuale che sale leggermente al momento della rilevazione (11,2 per cento).

La quasi totalità delle imprese non ha richiesto credito bancario all’avvio, ma l’accesso al finanziamento aumenta visibilmente con la maturazione dell’impresa in termini anagrafici, di forza lavoro impiegata e, ancora di più, di fatturato (49,7 per cento delle startup con produzione superiore a 500mila euro ha ricevuto prestiti bancari, contro il 21 per cento di quelle che si attestano sotto i 100mila euro).

Buona parte degli startupper si dichiara pienamente soddisfatto delle fonti di finanziamento a propria disposizione (34,1 per cento), percentuale più elevata nelle regioni del Nord (38,4 per cento) e tra le imprese con fatturato più cospicuo (56 per cento). Per contro, il 21,7 per cento degli imprenditori ritiene che la disponibilità finanziaria della propria startup sia del tutto insufficiente a coprire il fabbisogno.

Il questionario rileva inoltre l’approccio alle fonti di finanziamento per mettere alla prova la tesi, ricorrente nel dibattito mediatico e nella letteratura scientifica, della dicotomia tra finanziamento a debito e in equity. La survey sembra in realtà smentire la presunta contrapposizione nelle preferenze verso l’una e l’altra tipologia: ben il 65,7 per cento delle imprese, infatti, dichiara che il finanziamento ottimale di cui necessitano è un mix tra equity e debito; solo un quarto vorrebbe finanziarsi esclusivamente tramite equity e meno del 10 per cento solo a debito.

L’innovazione delle startup

Gran parte delle imprese, il 74%, ha realizzato innovazioni di prodotto o servizio, mentre le innovazioni di processo, realizzate dal 37,1% sono più diffuse tra le classi di fatturato più alte. Nella maggioranza dei casi si tratta di forme di innovazione incrementale, ossia migliorativa di un prodotto o di un processo già esistente; il 48,5% delle startup dichiara invece di aver introdotto prodotti del tutto nuovi. La conoscenza tecnica o scientifica che ha reso possibile l’introduzione dell’innovazione dichiarata deriva per più della metà delle startup (61,9%) da precedenti esperienze professionali nello stesso settore; solo nel 20% dei casi la ricerca universitaria rappresenta la fonte diretta.

I mercati di riferimento dei prodotti e servizi delle startup sono in gran parte le altre imprese italiane (71,8% dei casi), cui seguono, in ordine decrescente, i consumatori diretti italiani (49,5%), le imprese estere (41,5%), i consumatori di altri Paesi (31,2%) e, a una certa distanza, la pubblica amministrazione italiana e di altri Paesi. Per quanto riguarda le strategie di protezione dell’innovazione, rileva che il 17,8% delle startup sia titolare di una privativa industriale, il 12,8% depositario e il 9,2% licenziatario.

Il punto di vista degli startupper

L’ultima sezione della survey riguarda il rapporto dei fondatori di startup innovative con la policy nazionale loro dedicata. Dalle risposte emerge come le misure più conosciute siano la riduzione dei costi per l’avvio d’impresa e l’accesso semplificato e gratuito al Fondo di Garanzia per le Pmi, noto a quasi 9 startup su 10, anche se quasi 1 su 5 dichiara di non conoscere le modalità per accedervi.

Infine la survey propone una misurazione del livello di soddisfazione dei beneficiari rispetto alla policy. Alle startup che hanno dichiarato di utilizzare le misure proposte è stato richiesto di esprimere una valutazion dell’impatto che esse hanno avuto sull’attività di impresa. Le misure che raccolgono i giudizi più positivi sono, ancora una volta, il Fondo di garanzia per le Pmi e il credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo

Le conclusioni del Mise

“Questa pubblicazione incarna un principio cardine dell’azione di politica industriale condotta al Mise negli ultimi anni: la volontà di fondare i processi decisionali su un approccio scientifico capace di sfruttare il potenziale dei dati”. Il Direttore generale per la politica industriale del Mise, Stefano Firpo ha riassunto così lo spirito dello studio. “Disegnare le politiche pubbliche sulla base delle evidenze empiriche, monitorarne e valutarne gli effetti in maniera trasparente. Tutto questo contribuisce ad alimentare un dibattito informato e ad alimentare la fiducia tra legislatore e cittadini. La survey consente di cogliere aspetti inediti del fenomeno delle startup, specie sul piano culturale e sociologico, arricchendo l’ampio patrimonio statistico già accessibile al pubblico attraverso il registro delle imprese”.

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Fabrizio Cerignale

Giornalista professionista, con in tasca un vecchio diploma da perito elettronico. Free lance e mobile journalist per vocazione, collabora da oltre trent’anni con agenzie di stampa e quotidiani, televisioni e siti web, realizzando, articoli, video, reportage fotografici. Giornalista generalista ma con una grande passione per la tecnologia a 360 gradi, da quella quotidiana, che aiuta a vivere meglio, alla robotica all’automazione.

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