Cresce in Italia l’investimento in industria 4.0. Vale 1,7 miliardi di euro nel 2016 oltre a 300 milioni di indotto e in dodici mesi è cresciuto del 25%. A calcolarlo è l’osservatorio dedicato della School of management del Politecnico di Milano. E, si noti bene, nel conto non rientra ancora l’effetto del piano Calenda, operativo dal 2017. Il giro d’affari, quindi, dovrebbe crescere perché molte aziende, dopo aver recepito l’annuncio del programma nazionale nel settembre dello scorso anno, potrebbero avere posticipato al 2017 gli investimenti per fruire degli incentivi governativi.
Il primo trimestre dell’anno conferma infatti le aspettative. La spesa delle imprese è aumentata del 30% rispetto ai tre mesi iniziali del 2016 e, spiegano dal Politecnico, “se questi numeri saranno confermati a fine anno, in due anni l’Italia avrà quasi raddoppiato gli investimenti per la trasformazione digitale, recuperando il ritardo rispetto alle situazioni internazionali più mature, con il rischio concreto però di un eccesso di domanda rispetto alla capacità di consegna dei fornitori”.
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La conoscenza
Industria 4.0 non è più una sigla per accademici e pochi intimi. Il sondaggio dell’osservatorio milanese ha permesso di appurare che è crollata la percentuale di chi non ne sa nulla tra le 241 imprese manifatturiere intervistate. L’anno scorso ero il 38% del totale, quest’anno l’8%. Il 28% ha dichiarato di avere già avviato processi di adozione della quarta rivoluzione industriale. Le aziende hanno approfondito anche le opportunità del piano nazionale. Circa la metà ha dichiarato di usufruire del superammortamento al 140%, il 36% invece punta all’iperammortamento al 250%, mentre un 29% richiederà il credito di imposta per spese in ricerca e sviluppo e il 7% investirà in startup. Circa un’impresa su quattro investirà almeno un milione di euro per recuperare le agevolazioni statali.
Il piano nazionale sta svolgendo un duplice ruolo di acceleratore della trasformazione 4.0 – è l’opinione dei tre responsabili dell’osservatorio, Alessandro Perego, Andrea Sianesi e Marco Taisch -. Da un lato sta contribuendo a diffondere maggiore conoscenza del tema, dall’altro sta mettendo in moto un meccanismo virtuoso di investimenti privati e di crescita dei consumi. Rimane però il timore che l’ondata di investimenti derivi più dall’opportunità fiscale che da una vera consapevolezza delle potenzialità della quarta rivoluzione industriale. Il piano può fungere da stimolo, ma le imprese non devono perdere di vista la vera opportunità competitiva che rappresenta l’industria 4.0”.
Dove si spende?
Circa un miliardo di euro ha finanziato programmi di connettività o di strumenti per far parlare le macchine tra loro. Si parte dalla base, quindi, dalla costruzione dell’infrastruttura per l’internet delle cose. Un 20% della spesa complessiva, pari a circa 330 milioni di euro, va in sistemi di analisi dei processi industriali, nell’estrazione dei dati utili a valorizzare e migliorare i processi dell’industria. Il cloud manufacturing ha assorbito 150 milioni di euro e l’automazione avanzata 120 milioni di euro.
Costituisce ancora una nicchia di mercato l’interfaccia avanzata uomo-macchina (AHMI). La categoria comprende i dispositivi wearable, display touch per comandare i macchinari, scanner 3D, visori per la realtà aumentata. È una dimensione ancora più avanzata di industria 4.0 e si poggia sulle precedenti. Per questo la spesa oggi rappreenta l’1% del mercato totale ma nei prossimi anni è destinata a crescere.
La formazione e il personale
Un vuoto da colmare riguarda il lavoro. Quando la macchina 4.0 sarà pronta per entrare in funzione, servirà chi sappia accenderla e guidarla. “Sulla formazione la situazione si è sbloccata, il 62% sta facendo formazione”, osserva Sergio Terzi, direttore dell’osservatorio. Tuttavia il 29% delle imprese chiede incentivi per corsi di formazione nel campo 4.0, mentre circa una su quattro sottolinea la necessità di prevedere incentivi per ripagare le assunzioni di quei profili che devono colmare i buchi nel personale delle aziende.
È una questione anche di mentalità delle aziende. “Le digital skill sono cresciute ma il mindset è ancora insufficiente”, osserva Giampaolo Codeluppi, partner della società Key2people, che si occupa di selezione di figure dirigenziali.