Nel 2020 la Commissione europea calcola che almeno mezzo milione di posti di lavoro, fino a 700 mila, saranno a rischio per l’effetto della rivoluzione digitale. Per questo Bruxelles ha suonato la campana di allarme ai Paesi membri: adeguate le vostre politiche di impiego per non farvi trovare impreparati. “Oggi più del 40% della forza lavoro europea non ha le competenze digitali di base”, puntualizza al Digital Day dell’Europa a Roma Andrus Ansip, vicepresidente della Commissione europea deputato al mercato unico digitale.
“Non c’è un approccio sistemico sulle competenze digitali”, incalza il politico estone. “Osserviamo passivamente la trasformazione digitale, come se fossimo ai margini, ma non è la risposta giusta”. In Slovenia, ad esempio, per far fronte al cambiamento delle professioni digitali, il governo sta applicando i big data al monitoraggio del mercato del lavoro per individuare quali sono quelle in aumento e quelli in esaurimento, per pianificare in anticipo interventi sociali.
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Lavoro per i giovani
La Commissione europea ha annunciato l’intenzione di avviare un progetto pilota per dare a circa 6.000 giovani laureati l’opportunità di svolgere un’esperienza lavorativa digitale nel periodo 2018-2020. Una sorta di “Erasmus del digitale”. Si tratterà di tirocini retribuiti della durata di 4-5 mesi, indirizzati a studenti di tutte le discipline negli ambiti maggiormente richiesti da piccole e medie imprese. I tirocini si concentreranno su competenze tecnologiche quali cybersecurity, intelligenza artificiale, tecnologia quantistica, megadati e aree più generiche come web design, marketing digitale e sviluppo software.
Il più grande datore di lavoro
“Il governo deve partire da se stesso nella riforma del mercato del lavoro in ottica digitale, semplificando il rapporto con cittadini e imprese”, spiega Diego Piacentini, a capo del team di trasformazione digitale della Presidenza del consiglio dei ministri.
“In molti Stati il più grande datore di lavoro è la pubblica amministrazione e quindi digitalizzare la PA è digitalizzare il Paese”, prosegue Piacentini. Su quali lavori investire in questa fase di trasformazione? Non solo ingegneri e programmatori. L’ex numero due di Amazon riconosce il ruolo di lavori con tanta intelligenza creativa o sociale, “come insegnanti o guide turistiche, che non saranno sostituiti dall’intelligenza artificiale nei prossimi anni o lo saranno in un arco di tempo lungo”. Il pubblico, quindi, deve investire su proporzioni più eque di questo lavoro, come “un insegnante ogni tre studenti”, spiega Piacentini, o “lavorare sul turnover”.
Cosa fa l’Italia?
“Nel mondo del lavoro convivono vecchi e nuovi mestieri a cui bisogna garantire opportunità”, osserva il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. “Dobbiamo colmare la differenza di velocità tra innovazione tecnologica e politiche del lavoro e diminuire le disuguaglianze”. La parola chiave è formazione a lungo raggio. Di fatto per tutta la vita.
Per affrontare i cambi professionali, il ministero del Lavoro ha finanziato attraverso il piano europeo Garanzia giovani l’inserimento di ragazzi che non studiano, né lavorano o si formano (neet) come ambasciatori digitali delle pmi. “Oggi abbiamo 90 mila giovani in formazione, 5 mila imprese coinvolte e un’offerta di 7 mila tirocini. Dei 400 giovani che hanno già fatto il percorso, il 30% ha subito trovato lavoro”, spiega Poletti, che annuncia a breve un progetto, “Young digital”, per inserire in azienda i giovani come programmatori.
Per Enrico Giovannini, già ministro del Lavoro e ora professore all’università di Tor Vergata, bisogna però dare incentivi alla formazione. “Se compro un computer ho una forma di incentivi, se mi iscrivo a un corso di formazione no. Questo – commenta – è senza senso”.