Nel piano nazionale Industria 4.0 tra le tecnologie incluse nel novero di quelle ammesse al beneficio dell’iperammortamento figurano i “dispositivi per l’interazione uomo macchina e per il miglioramento dell’ergonomia e della sicurezza del posto di lavoro in logica 4.0”. Il legame tra ergonomia e quarta rivoluzione industriale è sia di natura culturale che tecnica. Per comprenderlo abbiamo intervistato Paola Cenni, ergonomo europeo, membro della Commissione Ergonomia dell’UNI e Presidente della sezione Emilia Romagna della Società Italiana di Ergonomia (SIE). Per prima cosa le abbiamo chiesto di chiarire il significato di questo termine.
“La parola ergonomia deriva dal Greco (ergon, lavoro e nomos, legge) e vuol dire letteralmente scienza o governo del lavoro: fa riferimento infatti a una cultura e a una tecnica utili per progettare un sistema lavorativo centrato sull’uomo e finalizzato a benessere psicofisico, sicurezza e qualità della performance. Governo sta per una corretta distribuzione delle attività, tenendo ben presente che cosa si può chiedere ad un lavoratore, a livello di competenza ed esperienza, all’interno di un contesto caratterizzato sia da variabili tecnico-fisiche che da variabili organizzative”.
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Il ruolo della Società Italiana di Ergonomia
La Società Italiana di Ergonomia è un’associazione culturale la cui fondazione risale agli inizi degli anni Sessanta. “La SIE ricopre da tempo un ruolo importante nell’evoluzione della ricerca scientifica, nello sviluppo delle conoscenze e nella diffusione della cultura della prevenzione dei rischi in ogni luogo di vita, studio e lavoro. Nel suo percorso evolutivo l’ergonomia italiana può vantare il contributo di protagonisti che hanno affrontato problematiche da ricondurre alle sue tre aree disciplinari di riferimento: biomedica, politecnica, psicosociale, rappresentate in particolare da un grande ergonomo ante litteram come Adriano Olivetti”.
Olivetti? “Sì. Imprenditore, intellettuale, urbanista ed editore, fu tra i primi a capire che le logiche ed i successi dell’impresa non possono prescindere dalla centralità della persona (human factor), dimostrando che un’adeguata ed efficiente progettualità aziendale (tecnica ed organizzativa) può coniugare benessere, sicurezza e successo produttivo”.
Attualmente la SIE è articolata in Sezioni territoriali, impegnate a diffondere l’importanza dell’approccio culturale ed operativo dell’ergonomia sia in ambito aziendale che attraverso il coinvolgimento delle istituzioni locali come Università, Regione, ASL. “L’ultima iniziativa in tal senso – ricorda Paola Cenni – è stata lo scorso 7 febbraio, quando insieme al CRIT abbiamo organizzato una giornata dedicata al tema della cultura e tecnica ergonomica a supporto della progettazione”.
Ergonomia e progettazione
Ma perché è utile coinvolgere un ergonomo all’interno di un team progettuale? “Si possono ottenere benefici interessanti a diversi livelli: intanto un miglior benessere psicofisico e una maggiore soddisfazione lavorativa; poi ci sono gli aspetti collegati alla prevenzione dei rischi per la salute derivanti da sovraccarico biomeccanico, problemi posturali, carico mentale. E poi la progettazione di interfacce compatibili fra uomo-macchina-attrezzature (ergonomia cognitiva) può favorire percezione ed elaborazione mentale di input da tradurre in gesti lavorativi da compiere in sicurezza. Una formazione ergonomica adeguata e moderna, destinata a ingegneri e designer, rappresenta inoltre un beneficio per il superamento di una cultura aziendale che, se valuta naturale assolvere gli adempimenti di legge, nutre ancora dubbi e chiede giustificazioni per applicare i principi dell’ergonomia (ritenendola prevalentemente un costo aggiuntivo)”.
L’ergonomia per l’affidabilità e la sicurezza delle macchine
Adottare un approccio che tenga conto di istanze ergonomiche può migliorare affidabilità e sicurezza delle macchine. “Questo perché, al fine di salvaguardare l’affidabilità del macchinario, l’ergonomia ritiene che il processo di progettazione per stadi, affidato a tecnici, designer ed ingegneri, vada integrato chiamando in causa anche l’esperienza degli operatori e degli attori della prevenzione presenti in azienda. In particolare, per ogni fase del processo andrebbe riconosciuta: a) l’utilità del feedback e dei possibili aggiustamenti migliorativi; b) l’adeguatezza delle azioni ergonomiche documentate allo scopo di verificare il rispetto delle norme di buona pratica, di chiarire le motivazioni che supportano le decisioni progettuali e di illustrare criteri e requisiti legati ad ogni stadio progettuale”, spiega la dottoressa Cenni. “Ciò detto, tenendo conto delle tre aree disciplinari che la caratterizzano (biomedica, politecnica, psicosociale), l’ergonomia affronta l’interazione fisica con macchine ed attrezzature, sulla base di principi antropometrici e biomeccanici da applicare nel rispetto delle caratteristiche degli operatori per prevenire rischi muscolo-scheletrici (posture incongrue, movimentazioni manuale dei carichi, movimenti ripetitivi); l’interazione cognitiva con display e software, sulla base di processi mentali finalizzati a gesti lavorativi sicuri; l’interazione psicosociale legata a politiche organizzative, procedure, mansioni, comunicazione. È importante anche seguire la normativa tecnica ergonomica che tratta il lavoro mentale (da sovraccarico o sottocarico, monotonia e ripetitività nello svolgimento dei compiti e lo stress lavoro-correlato)”.
Perché è importante l’ergonomia cognitiva
Al di là degli aspetti fisici e strutturali, comunemente riconosciuti, perché è così importante considerare l’ergonomia cognitiva nella progettazione delle interfacce? “Innanzitutto è opportuno chiarire che cosa si intende per ‘cognition’ (sinonimo di rappresentazione mentale o di pensiero)”, risponde Cenni. “Il lavoro mentale dell’uomo si basa sull’equazione ‘capacità = abilità – limiti’: aspetti da considerare quando si progettano le mansioni ed il rapporto con macchine e strumenti tecnologici. I processi cognitivi si attivano di fronte ad una interfaccia che media tale interazione, a partire da un input sensoriale presente su un display che può essere visivo, uditivo o tattile. A partire da queste diverse modalità percettive, l’uomo elabora le informazioni da trattare, le memorizza nel breve termine per capire il contesto e recuperare informazioni dalla memoria a lungo termine (banca dati costituita dal ricordo di esperienze pregresse simili e da formazione già acquisita). Successivamente l’operatore valuta il da farsi e prende una decisione sul comportamento, azione, gesto da compiere in sicurezza. Questo percorso racconta quanto sia importante coinvolgere un ergonomo nella progettazione di un’interfaccia, a partire da input chiari e amichevoli, in grado di favorire la massima compatibilità rispetto all’assetto neuronale e mentale dell’uomo, riducendo così anche il rischio di commettere degli errori”.